Unica, bella e impossibile: Amelia, la regina dei cieli, che vola tra i misteri

Dopo 77 anni, molti indizi e qualche prova, resta un giallo la fine della Earhart, l'aviatrice scomparsa in volo mentre stava tentando il giro del mondo in aereo. C'è chi dice fosse una spia uccisa in missione e chi sia morta di fame su un atollo deserto. Ma una sua omonima è riuscita a rifare con successo lo stesso percorso

Unica, bella e impossibile: Amelia, la regina dei cieli, che vola tra i misteri

Non aveva paura di volare e tantomeno di vivere. Per questo la sua morte, improvvisa, inevitabile e misteriosa, è diventata un cold case, un crocevia di ipotesi, fantasie, mezze verità, oltre che un giallo da milioni di dollari. Amelia Earhart è scomparsa nel nulla nel 1937 mentre sorvolava l'Oceano Pacifico cercando di diventare la prima donna capace di fare il giro del mondo pilotando un aereo. Così celebre da meritare un film, con Hilary Swank, e citazioni un pò ovunque, a volte anche a sproposito, dalle canzoni di Joni Mitchell alla saga di «Star Trek», da «Una Pallottola spuntata» ai libri di Jeffery Deaver fino ai videogiochi, ai simulatori di volo della Microsoft. La storia è breve nella sua enormità: Amelia decolla da Lae, Nuova Guinea, il 2 luglio 1937, insieme al navigatore Freed Noonan. Vanno verso est, tappa l'isola di Howland, ma non ci arriveranno mai. Il loro Lockheed L-10 Electra sparisce dalle parti di Nikumaroro, 2 mila chilometri a sud ovest delle Hawaii. Un'area enorme dove le ricerche si disperdono. Nel 1940, tre anni dopo, i primi indizi: ossa umane e due scarpe. Poco, ma sparisce anche quello. Da lì in poi solo ipotesi, una più incredibile dell'altra, per una storia forse più semplice di quello che sembra, ma così suggestiva da non stancare mai.
L'ipotesi più complottista, perchè quella non manca mai, è che Amelia Earhart svanì nel nulla perchè impegnata a spiare i giapponesi, con cui gli Stati Uniti erano già ai ferri corti, per conto del governo americano. Avrebbe modificato la rotta iniziale sopra il Pacifico apposta per sorvolare isole dell'oceano occupate dal Giappone e trasformate in piazzeforti. Fu catturata e uccisa dai sudditi dell'Imperatore, si dicono convinti i complottardi, e il presidente americano Franklin D. Roosevelt occultò la verità con un «gigantesco cover-up»: troppo imbarazzante sarebbe stato ammettere che la coraggiosa pioniera dell'aria era agli ordini dei servizi segreti Usa e approfittava delle imprese tra le nuvole per perlustrare postazioni militari di paesi nemici. Tesi, come si vede, campata per aria.
A svelare il mistero, come ogni giallo che si rispetti, pare sia stato di recente il dettaglio di una fotografia, scattata da un giornalista del «Miami Herald» la mattina del primo giugno 1937 al bimotore parcheggiato sulla pista dell'aeroporto di Miami, una delle tappe del viaggio. Nella foto si vede un pannello di alluminio applicato ad un finestrino nella parte posteriore della fusoliera, forse per riparare qualcosa: un pannello praticamente identico a quello recuperato nel 1991 proprio nell'atollo disabitato di Nikumaroro.
Il più accanito nelle ricerche è l'International Group for Historic Aircraft Recovery, che da vent'anni insegue la verità sul caso, convinto che i rottami dell'aereo siano parcheggiati a 200 metri di profondità nell'oceano davanti all'atollo. E questo perchè Amelia e Fred in realtà riuscirono ad atterrare sulla barriera corallina, prima che onde e maree si impadronissero dei resti del Lockheed Electra, per poi morire di fame e di stenti sull'atollo. Dove sono stati trovati bottoni, ossa di animali, un barattolo di crema che Amelia era solita usare, frammenti di due bottigliette degli anni Trenta, uno specchio, una cerniera prodotta in Pennsylvania, bottiglie da viaggio fabbricate in New Jersey e un coltellino elencato nell'inventario del suo aereo.
Oltre a questo, gli studiosi hanno rinvenuto, nonostante il tempo trascorso, resti di falò con ossa di uccelli e lische di pesce, vongole giganti aperte come se fossero ostriche e conchiglie vuote collocate come per raccogliere acqua piovana: in sintesi una persona che tentava di sopravvivere sull'isola. Nel 1940 una spedizione delle autorità coloniali britanniche, che allora amministravano Kiribati, aveva trovato 13 ossa che dopo un primo esame risultavano «più di donna che di uomo» e «più di una persona di razza bianca che polinesiana». Come detto però le prove furono perse e per la famiglia della Earhart in fondo è un sollievo: precipitare in mare è una fine veloce e pulita, dicono non a torto, finire naufraga in un atollo senza acqua, morire di fame e di sete e finire mangiata dai granchi è agghiacciante. Insomma la tesi c'è, le prove no.
Amelia Earhart allora aveva 40 anni ed era popolare come Charles Lindbergh. Aveva già superato l'Atlantico e il Pacifico un paio di volte e quando le domandarono perchè sfidasse i cieli rispose: «Per dimostrare che la donna può fare esattamente tutto quello che fa un uomo». Ma siccome il destino si diverte a giocare con la donna delle nuvole un'Amelia Earhart, trentun'anni, americana, omonima ma non parente, è riuscita a completare quel giro del mondo spezzato, a bordo di un piccolo monomotore, un Pilatus PC-12, atterrando a Oakland, in California, proprio dove 77 anni fa era atteso il suo alter ego. «Mi sento come se avessi riportato Amelia Earhart a casa» ha detto di sè e dell'altra dopo aver percorso 17 tappe e 14 Paesi.

Ad aspettarla all'aeroporto c'era anche un signore di 84 anni, Elwood Ballard: aveva sette anni quando vide partire Amelia Earhart senza vederla tornare. É andato incontro alla sua omonima con un mazzo di rose: «Ho atteso 77 anni questo momento...».

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