Bandiera palestinese sulla Statale che nega il convegno pro Israele

Dopo la Statale tende piantate anche al Politecnico dai centri sociali pro Intifada

Bandiera palestinese sulla Statale che nega il convegno pro Israele
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Una gigantesca bandiera della Palestina fa bella mostra di sé dal cortile di onore dell'Università degli Studi. Quasi un manto di protezione che sventola sopra le tende, almeno una ventina che sono state montate nel prato centrale del cortile. È l'«Acampada», l'occupazione studentesca in nome della Palestina e in continuità con il movimento giovanile nazionale e internazionale che venerdì in città ha lanciato la protesta contro la complicità degli atenei al genocidio su Gaza.

Giovani palestinesi Milano e Giovani palestinesi Italia, Centro sociale Cantiere, Fronte della gioventù comunista, Rebelot e Cambiare rotta, movimento studentesco di minoranza assoluta tanto da non essere entrato nel senato accademico, sono alcune delle sigle che partecipano al movimento dell'«Intifada universitaria». Tra loro e con loro anche i tendini, alcuni studenti della Statale ma non solo che si erano mobilitati contro il caro affitti e gli affitti in nero per gli alloggi dei fuori sede. Sostengono di portare avanti queste rivendicazioni da anni, ben prima del terribile attacco contro Israele del 7 ottobre e di non aver mai ricevuto la dovuta attenzione. «È arrivato il momento che la Crui e le università pubbliche, in particolare la Statale e il Politecnico, prendano posizione contro l'eccidio di Gaza e interrompano i rapporti di collaborazione con le università israeliane, come la Reichman University «coinvolta nello sviluppo di tecnologie utilizzate anche nella realizzazione di armi e che favorisce studenti arruolati nell'esercito». Così hanno puntato anche sul Politecnico dove ieri pomeriggio si sono accampati altri esponenti del movimento giovanile perché ha rapporti con Leonardo spa, ex Fincantieri che ha intensificato il rapporto con Israele, sviluppando soluzioni high tech innovative in settori strategici come difesa e cybersicurezza.

Ma l'Università degli Studi è anche l'ateneo che ha negato lo svolgimento della congresso «Israele unica democrazia del Medio Oriente», inizialmente previsto per il 7 maggio, autorizzato solo in modalità on line dal rettore Elio Franzini: fatto slittare a giugno, fino alla completa cancellazione. Un'iniziativa che non interessa ai ragazzi che sostengono che «il non prendere posizione da parte della Statale sia in realtà essere connivente con il genocidio». Così, nonostante dichiarino che se andranno solo quando la Statale aprirà un tavolo di lavoro per discutere degli accordi con gli atenei israeliani, non hanno chiesto alcun incontro al rettore, il che lascia intendere che forse non abbiano poi tutta questa voglia di dialogo.

Ieri pomeriggio appunto gli studenti hanno concluso il 30esimo corteo milanese per la Palestina con l'«Acampada» in piazza Leonardo da Vinci. «Alcuni - sostiene una studentessa - sostengono che supportare l'attività del boicottaggio accademico sia lesivo nei confronti dei diritti individuali e collettivi e della libertà accademica, oltre che del dissenso interno nelle università. Ma noi sappiamo che il boicottaggio sta riportando il dibattito politico nei luoghi culturalmente appiattiti». «Il boicottaggio accademico è un'arma funzionante - ha affermato Samuele Oltolini, tra gli organizzatori dell'iniziativa - Ha funzionato nel passato contro l'ideologia dell'apartheid in Sudafrica e deve funzionare contro il sistema dell'apartheid israeliano in Palestina. Noi possiamo boicottare Israele con il movimento studentesco che ha lanciato questa iniziativa per chiedere la fine degli investimenti delle università europee e italiane con quelle israeliane».

Intanto domani è previsto il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza allargato alla Crui (la Conferenza dei rettori) con il ministro per l'università e della ricerca Anna Maria Bernini: «Sarà l'occasione per condividere le preoccupazioni dei

rettori e fare un punto. In una democrazia la vera misura speciale è la responsabilità. E la responsabilità consiste nel coniugare una battaglia culturale con l'intransigenza verso chi è fuori dal perimetro democratico».

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