Uomini e donne spogliati di ogni finzione

Da Lucian Freud a Mapplethorpe, una grottesca galleria umana nella mostra inglese «Il ritratto nudo»

Da Pierre Bonnard a Tracey Emin, attraverso Schiele, Kokoschka, Francis Bacon e in particolare Lucian Freud, il nudo nella ritrattistica del XX secolo ha sovvertito i canoni della tradizione imperniata sull’immagine costruita intorno agli orpelli dello status sociale o proiettata dai tormenti dell’anima, il «ritratto nudo» può essere intimo e rivelatore ma anche distanziare il soggetto da chi guarda, evaderne una lettura psicologica. È questa la premessa di un’indagine svolta da Martin Hammer dell’università di Edimburgo che ha curato una disamina, ora approdata nelle settecentesche sale di Compton Verney in Warickshire, su Il ritratto nudo 1900-2007, analizzandolo come un filone distinto nell’arte del Novecento, come proposto da Lucian Freud.
Il terreno è complesso. Oggi il nudo non ci meraviglia più, spiega l’esperto, il disagio di origine biblica a mostrare e a guardare corpi svestiti è ormai obsoleto, ne troviamo dappertutto, nei mass media, nella pubblicità, per le strade, tuttavia continuiamo ad associare la nudità con la sfera privata. Ma il ritratto nudo è davvero una novità del XX secolo, di Bacon, Balthus e Freud? Non erano i nudi maschili di Pontormo e del Caravaggio ad esempio, già altamente individuali? La tesi del filone distinto è debole ma permette di fare il punto sui risvolti del nudo nell’arte degli ultimi cent’anni e sul suo impatto sul nostro modo di guardare e sentire.
Che cosa cambia il nudo come ritratto nella percezione dell’identità del soggetto? «Il ritratto nudo senza la sua maschera, spogliato della sua persona e privato della sua facciata ci appare vulnerabile e minaccioso al tempo stesso e solleva in noi mille questioni psicologiche», sottolinea la fotografa Melanie Manchot, che nel suo lavoro più recente (2000-2001) esplora l’impatto del corpo nudo, i complessi sentimenti di piacere, vergogna, imbarazzo, indifferenza che esso può suscitare in chi lo guarda. Ma secondo il critico John Berger, il nudo è una convenzione, se non aver abiti addosso ci riconduce ad essere noi stessi, il ritratto nudo ci relega alla condizione di oggetto. Asserzione comprovata dal dipinto di Pierre Bonnard Nudo di donna in calze nere del 1900 in cui il volto del soggetto è fuori campo per lasciar posto solo al corpo, sfumato nella bruma impressionistica. La nudità della donna, come la sua individualità, sono state rimpiazzate da una nudità interamente costruita dalla percezione dell’artista.
Settant’anni dopo Lucian Freud, nel suo Small naked portrait, incisivo e commovente ritratto di donna rannicchiata come in un abbraccio, affronta brillantemente la questione della differenza fra un «ritratto nudo» e un nudo anonimo. L’individualità del soggetto è espressa attraverso il gesto, il linguaggio del corpo, e soprattutto attraverso il distacco dal nudo classico e il rifiuto degli stereotipi ideali del maschile e del femminile. In tutti i memorabili ritratti nudi di Freud il corpo si trasforma in un canovaccio di commento sulla condizione umana. Se nel 1910 Kokoschka nel suo autoritratto nudo per Der Sturm si rifà, come pure Vanessa Bell nel 1915 col ritratto nudo di David Garnett, ai busti dell’antichità, nel 2000 Francesco Clemente (Autoritratto con teschio) e Ken Currie elaborano nel nuovo autoritratto nudo la condizione di vulnerabilità e mortalità dell’uomo. Mentre l’immenso e provocante montaggio di Gilbert and George intitolato In the Piss (1997) in cui i due artisti nudi in posa come Adamo ed Eva dello stesso sesso, visti come attraverso un microscopio, sono sovrapposti sul giallo brillante dell’urina, esprime una divertita disapprovazione iconoclastica.
Con i montaggi e le fotografiE il ritratto nudo che già veniva affrontato da Stiglitz nelle memorabili immagini della moglie Georgia O’Keeffe e da Annie Leibovitz con il ritratto di John Lennon nudo in posizione fetale accanto a Yoko Ono tutta vestita, o da Bert Stern con le immagini di Marilyn Monroe del 1962, si evolve all’estremo con Helmut Newton e Robert Mapplethorpe. Se il ritratto del 1970 di Charlotte Rampling di Newton è composto in modo tale che l’occhio venga inesorabilmente attratto dai linementi del volto, paradossalmente l’immagine più inquietante in questa sfera è quella di un uomo, il ritratto di Mapplethorpe del 1979 di Bob Love, in cui i genitali dell’afro-americano sono presentati su un piedestallo in un’oggettivazione che disturba.

In netto contrasto con molte opere femminili post femministe degli anni recenti, immagini che sfidano le convenzioni pornografiche, come le fotografie di donne con neonati di Rineke Dijkstra, risonanti versioni laiche della Madonna col Bambino.
LA MOSTRA
«The Naked Portrait 1900-2007», Compton Verney, Warwickshire (Inghilterra) fino al 9 dicembre. Catalogo a cura di Martin Hammer, National Gallery of Scotland.

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