Usa, ritorna l’eroe senza tempo E' italiano, Obama lo premierà

Salvatore Giunta, un soldato italo-americano, ha salvato tre compagni dai talebani. L'ultimo decorato fu un veterano del Vietnam 

Usa, ritorna l’eroe senza tempo 
E' italiano, Obama lo premierà

Ha anche un aspetto mica male, specie quando è in divisa. Un sorriso un po’ infantile che si allarga tutto per cose semplici, appena un’ombra scura di capelli sulla fronte come impone la regola dell’esercito, le sopracciglia folte a far da tetto agli occhi neri. Ma non è questo. È che su di lui, la storia lo ha dimostrato, si può contare. E non esiste bellezza altrettanto grande in un uomo.

A Hollywood registi e produttori si dannano quasi ogni giorno nel tentativo di capire come si possa rispolverare la figura dell’eroe, almeno sul grande schermo e dalla caserma Ederle di Vicenza (è di stanza lì), spunta questo Salvatore Giunta (che tutti poi mozzano in «Sal» incuranti della precisa scelta del destino) che a ventidue anni (perché è al 2007 che risalgono i fatti) si è guadagnato la Medaglia d’onore che il prossimo 7 ottobre gli verrà appuntata al petto da Obama alla Casa Bianca. È il riconoscimento militare più importante degli Stati Uniti, ed è dai tempi della guerra in Vietnam che non veniva assegnato a un militare vivente. E lui se lo prenderà per aver salvato tre compagni dai talebani, in Afghanistan.

Lo ha fatto con un’azione degna del miglior Spielberg (quello di Salvate il soldato Ryan) o del miglior Eastwood (quello di Lettere da Iwo Jima), strisciando sotto il fuoco nemico, affrontando i terroristi che stavano trascinando via il suo sergente ferito, tuffandosi in mezzo a una pioggia di proiettili e granate. Lo ha fatto rischiando la pelle, lo ha fatto con una naturalezza capace di ricordare al mondo che chiunque soffra sotto i nostri occhi è un essere umano.

È di origini italiane Sal (siciliane), ma è così americano… È così tanto il frutto di un Paese che, anche al culmine della disperazione, non ti permette di disperarti… Ribolle di gioventù con i suoi venticinque anni lanciati nella vita al galoppo. Il giorno che decise di arruolarsi, sette anni fa, interruppe una scena che pareva uscita da una pellicola degli anni Cinquanta. Lui dietro al bancone di un fast food con il suo grembiule bianco funestato di macchie d’olio scadente, e sotto a quegli stracci d’ordinanza la molla di un fisico che sentiva di essere pronto per altro. Stava per cuocere, annoiato, l’ennesimo hamburger quando la radio, tra una hit e l’altra ficcò un annuncio. Eccolo il momento: si sfilò il grembiule e andò ad arruolarsi. Americano di terza generazione, nato nello Iowa, sposato con tale fortunata Jenny, ha voluto presentarsi al suo Paese nel modo che il suo Paese apprezza di più: mettendosi al suo servizio. Così è entrato nei parà e poi è stato spedito in un posto molto vicino all’inferno: la valle di Korengal, della provincia settentrionale di Kunduz. Ma qui siamo già in una pellicola di Spielberg.

Quando il clamore del suo gesto, e del conseguente «premio», è arrivato a disturbare la sua naturale ritrosità si è limitato a dire che ciò che ha fatto lui, lo avrebbe fatto chiunque. Frase tipica da supereroi, almeno, dei pochi che abbiamo visto al cinema. Una sbrigativa, innocente balla per far fuori l’argomento in fretta che intanto però, risputa in faccia a ognuno di noi l’incoffessabile verità: non è vero che ciò che ha fatto lui lo avremmo fatto tutti. Noi che aspettiamo sempre qualcuno, non sappiamo chi, che ci accolga o ci raccolga, noi che abbiamo infinitamente abbassato l’asticella dell’eroismo e saremmo disposti a sentirci tra le braccia di un Salvatore con molto meno, con qualcuno davvero interessato a sapere come ci sentiamo, per esempio, davanti alla Medaglia d’onore di Sal non capiamo neppure come sentirci. Magari fossero contagiosi i coraggiosi. Magari sapessimo offrire almeno ciò che chiediamo. Magari sapessimo andarcelo a cercare, ciò di cui abbiamo bisogno. Figuriamoci strisciare sotto i proiettili, non darsi neppure il tempo di pensare a se stessi per mettere prima gli altri. Figuriamoci rischiare di non «riportarsi» a casa per il bene di un altro, indipendentemente da cosa ci sia a casa ad aspettarci.

Giunta non ha nulla di umano, per gli umani che siamo diventati. È qualcosa di troppo su cui fare persino della fantasia. Il tempo in cui sognavamo i supereroi erano quelli in cui ancora credevamo che un supereroe potesse arrivare e sistemare qualcosa. Oggi sono troppo terrene persino le cose che ci auguriamo si sistemino. Figurarsi immaginare qualcuno che fa scudo con la vita ad altre vite.

Figuriamoci immaginare qualcuno che suda e fatica e trema e corre per affrancare altre mani, per trascinare un corpo con tutto ciò che ci sta dietro. E dentro.

Il 7 ottobre gli daranno la Medaglia d’onore, ma potrebbero dargli anche un Oscar, per il miglior film di fantascienza. Giunti è troppo eroe per gli eroi che ormai riusciamo a immaginare. Lui che la notte del 25 dicembre 2007 ha avuto il coraggio di non essere vigliacco. Chi se la sogna più, una cosa così?

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