Valentino senza Valentino vince la sfida di Parigi

La sfilata di Alessandra Facchinetti convince gli addetti ai lavori e strappa l’applauso. Fra i colori il «suo» rosa, tanto blu e il rosso in versione meno intensa

da Parigi

«La cosa più difficile nello scrivere questa pagina? Prendere in mano la matita» dice Alessandra Facchinetti alla sua prima sfilata come direttore creativo della donna di Valentino. Giancarlo Giammetti, storico socio del grande couturier aveva appena dichiarato: «Valentino è un bellissimo libro da raccontare, bisogna scrivere nuove pagine ma lei lo sta facendo con grande rispetto: brava».
È questa la giusta chiave di lettura della convincente collezione invernale presentata ieri a Parigi su una passerella rosa a forma di otto rovesciato, simbolo d’infinito e continuità ma anche numero portafortuna della famiglia Facchinetti. «Siamo nell’ottava settimana dell’anno, non può che andare tutto bene» spiega il padre della stilista, quel mitico Roby dei Pooh che per la sua nascita avvenuta a Bergamo il 2 giugno 1972 scrisse la musica di Alessandra, un successo da 250 mila copie. «Per me non hai scritto niente» lo rimprovera scherzosamente il figlio Dj Francesco ricordando che l’altra sorella si chiama Valentina: quasi un presagio.
Alessandra è stata davvero brava nel cercare proporzioni più moderne agli eterni caposaldi del linguaggio stilistico valentiniano: tailleur e piccoli cappotti, tubini da cocktail e abiti da sera, fiocchi e volant. Anche i colori erano very Valentino fermo restando il radicale cambiamento portato dagli accostamenti di nero sul blu e soprattutto del rosa carne con il rosso vivo ma non più intenso come la tinta-feticcio della maison. Ricami appena accennati, grandi giochi di microvolant in pizzo e mille foglie in chiffon applicate come le pagine di un libro sugli abiti da sera: c’era tutto senza quel troppo che stavolta sarebbe stato un errore fatale. Esemplari le fulminanti collezioni di Giambattista Valli e Riccardo Tisci per Givenchy. Entrambi hanno dimostrato una straordinaria maturità creativa nel lavorare sullo stesso concetto: portare i volumi della couture nella quotidianità. Tisci li sposta tutti verso l’alto assottigliando a dismisura i pantaloni sotto a imponenti giacche e piccoli paltò riccamente decorati. Valli ha addirittura portato nel futuro un vecchio trucco della sartoria: spostare le ampiezze dei capi sulla schiena per dare nuova verticalità al corpo femminile. Così il tubino candido che davanti ha la lineare forma di un ovetto, dietro si apre in uno sfondo piega arricchito da strisce di tessuto in verticale. Ieri a Parigi è stato annunciato che Puma, marchio di culto dello sportswear controllato al 66% dal Gruppo Ppr (Pinault printemps redoute) ha scelto Hussein Chalayan come direttore artistico del brand. «Non è una relazione a breve termine ma un matrimonio» ha detto il presidente François Pinault annunciando che lo stilista turco-cipriota continuerà a disegnare anche la sua griffe utilizzando le strutture produttive di Gucci Group, fiore all’occhiello di Ppr.
Per gli addetti ai lavori è una notizia clamorosa perché le grandi aziende condotte in modo moderno possono fare miracoli con la vera creatività.

Per esempio il Gruppo Tod’s che controlla il marchio Roger Vivier ha costruito un impero dei segni sull’intuizione dello stilista Bruno Frisoni: la fibbia delle scarpe più belle del mondo come leitmotiv anche di borse, gioielli e occhiali ad alto tasso di desiderio.

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