Ma Fabrizio De André era un poeta? Tema affascinante ancorché capzioso, visto che la sua poetica e l'intensità emotiva delle sue canzoni non si discutono, ma argomento di grande attualità dopo che il Nobel per la letteratura è stato attribuito a Bob Dylan. Prova a chiarirci le idee il libro De André. Maledetti poeti (Circolo Proudhon Edizioni), curato da Miro Renzaglia, che va alla accurata ricerca dei «poeti», dai Protovangeli di Giacomo ad Álvaro Mutis passando per Aristofane, che l'hanno direttamente o indirettamente influenzato. «Benedetto Croce diceva che fino all'età di 18 anni tutti scrivono poesie. Dai 18 anni in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. Quindi io, precauzionalmente, preferirei considerarmi un cantautore». Eccovi servita la teoria, come al solito caustica, dello stesso De André, che Renzaglia smentisce immediatamente dicendo «Non dategli retta: Fabrizio De André è un poeta».
È un poeta in forza delle incredibili suggestioni dei suoi testi messi in musica, della ruvida schiettezza del suo linguaggio lontano mille miglia da quello «petrarchesco» che volava alto. Questa è la poesia degli ultimi, dei perdenti - si potrebbe paragonare a quella di Leonard Cohen, del quale del resto Faber ha ripreso e riadattato alcuni brani drammatici - la poesia di quel terrificante campionato a girone unico che chiamano vita tra assassini e assassinati, puttane e carcerati, suicidi e alcolisti passando per Dio (il più grande rivoluzionario della storia) e la Madonna. Non a caso l'antologia si apre con il Vangelo apocrifo di Giacomo e con Il pianto della Madonna che ispirarono Ave Maria (Giacomo), Ottocento e la celebre Tre madri. Jacopone mette in mostra tutta la sofferenza umana della «madre» per il figlio, Faber invece inveisce e picchia duro nel suo obiettivo di umanizzare il Cristo e la Madonna. L'invettiva dunque - sottolinea Renzaglia - è l'altra caratteristica principale di De André accanto alla rabbia e alla satira, da cui deriva appunto l'invettiva stessa. E qui c'è il terribile realismo di François Villon nel confronto tra Ballade des pendus, chiamata anche L'epitaffio Villon e Fratelli umani («dalla corda lunga e tesa / saprà il mio collo quanto il cul mi pesa») e la celeberrima La ballata degli impiccati. Ogni tempo ha i suoi fustigatori, e arrivò quello di Aristofane, «il satiro che dal periodo attico della sua Grecia guardò in basso e frustò». Dalla commedia Le nuvole Faber trasse un album di struggente e delirante bellezza, pur nella diversità di contenuti rispetto all'originale.
«Le nuvole - racconta De André - per l'aristocratico Aristofane erano quei cattivi consiglieri che insegnavano ai giovani a contestare; in particolare ce l'aveva con i sofisti che indicavano alle nuove generazioni un atteggiamento mentale e comportamentale provocatorio nei confronti del governo conservatore di Atene. Le mie nuvole sono invece quei personaggi ingombranti e incombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica; sono coloro che hanno terrore del nuovo perché potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere». Sulle parti delle Nuvole antologizzate Renzaglia svolge un lavoro particolarmente accurato e anche originale.
Interessanti e tutti da scoprire sono i riferimenti a perdenti come Maurizio Jannelli (romanziere) detenuto a Rebibbia con Fernanda, il famoso transgender che ispirò l'amara Princesa, o il re della controcultura, l'anarchico Riccardo Mannerini, che Faber riconosce come maestro assoluto, da cui nascerà tra l'altro, nel 1968, la collaborazione con i New Trolls.Il libro dedicato a De André è il primo volume della collana Pretesti, che prossimamente indagherà sulle radici poetiche di personaggi come Dylan, Guccini, Borges e perfino Francesco Totti.
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