«Vanzina m’ha detto: il tuo film fa più ridere»

Se a lui come regista do dieci, io merito soltanto cinque

Caro Christian De Sica, Natale a New York sta vincendo la battaglia delle feste...
«Sì, facendo le corna. La partenza è stata migliore dell’anno scorso, 250mila euro in più. Se si pensa che sono passati oltre vent’anni dalla prima volta... ».
Cosa risponde a chi dice che i cinepanettoni li vedono solo quelli che vanno al cinema una volta l’anno?
«È una sciocchezza. Molti spettatori sono gli stessi che tornano a vedere mio cognato, Carlo Verdone, che ha l’abitudine di far uscire i suoi film all’inizio dell’anno. E basta con il termine cinepanettone, come se il panettone facesse schifo».
Ha visto Olè e Commediasexi?
«Ancora no. Carlo Vanzina mi ha telefonato per dirmi: “Il tuo film fa ridere più del mio”. Mi ha invitato a far capodanno insieme, ma non posso, lo passo coi miei figli».
Allora De Sica senza Boldi funziona meglio di Boldi senza De Sica?
«A quanto pare... Insieme io e Massimo, che fra parentesi stimo molto, facevamo comicità pura, anche se ultimamente eravamo quasi separati, come se recitassimo in due film diversi per incontrarci quasi per caso. Massimo ha un genere di comicità più surreale che non sempre legava con il mio umorismo da attore brillante».
Non c’era il rischio dopo tanti film che la coppia con due furbacchioni (De Sica-Ghini) non funzionasse come quella con il furbacchione (De Sica) e il fessacchiotto (Boldi)?
«Invece abbiamo dimostrato di integrarci bene, contravvenendo alla regola dei contrasti: uno alto, l’altro basso; uno bello, uno brutto; uno del Nord, l’altro del Sud. Noi siamo tutti e due romani, piacioni o ex belli e alti uguali».
C’è anche un pubblico regionale: i romani preferiscono De Sica e i lombardi Boldi?
«Falso. Tanto è vero che tra i miei fan più scatenati e numerosi c’è un clan di bocconiani. E che con il mio ultimo spettacolo teatrale Un americano a Parigi sono rimasto tre mesi al Nuovo di Milano e un mese a Torino».
Senta, lei ormai ha cinquantacinque anni, un’età in cui suo padre aveva già diretto Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano e Umberto D. Lei invece ha diretto Faccione, Ricky e Barabba, Simpatici e antipatici...
«Ma papà è un maestro del cinema. Sarei stato un cretino se avessi detto a me stesso che avrei rifatto Ladri di biciclette».
Se a Vittorio De Sica diamo dieci, lei che voto pensa di meritarsi come regista?
«Mi do cinque».
In fondo per lei la regia è solo un hobby, si considera innanzitutto un attore...
«... e uno showman. È appena uscito un disco Solo per amore, un omaggio a Lelio Luttazzi in cui io canto tre brani. Ci sono canzoni anche di Fiorello, Mina, Dalla, Morandi, Arbore e Greg».
Che sia molto intonato è risaputo. Poi balla benissimo. Ma Garinei non l’ha mai contattato?
«Come no. Voleva che rifacessi Ciao Rudy. Ma ho già programmato il ritorno in palcoscenico. Il 24 febbraio debutterò al Sistina in Parlami di me di Costanzo e Vaime. Ed è proprio previsto un omaggio a Giovannini e Garinei».
Grande showman dunque, è indiscutibile, ma c’è l’impressione invece che il De Sica attore sia prigioniero dello stesso personaggio: sciupafemmine, bugiardo, intrallazzatore...
«Allora anche Sordi interpretava sempre il maschilista, il presuntuoso, il prepotente, il vigliacco e riusciva a rendere simpatici i suoi tipi. Io cerco di fare lo stesso. Per strada mi capita che i ragazzi mi abbraccino dicendomi “Ciao zio” e baciandomi sulle guance».
Un riferimento al suo Zio d’America televisivo?
«In parte, perché a Roma “Ciao zio” equivale a “Ti voglio bene”. Il mio personaggio è un aristocratico che aiuta gli anziani, i poveri. Ho conquistato una bella fetta di pubblico femminile, che per dopo avermi guardato in tv è andato anche al cinema a vedere i miei film».
Anche nei tormentoni degli spot telefonici, piccoli capolavori del genere, lei tende a rifare se stesso...
«Forse, però Mauro Portaroli e io ci inventiamo ogni volta delle gag nuove».
Tornando a papà Vittorio, quel nome le ha spianato la strada o gliel’ha resa più dura?
«All’inizio mi ha aiutato a capire meglio l’ambiente. Parlando la stessa lingua fai prima di uno che deve imparare tutto. Ma in Italia, chissà perché, il figlio d’arte non è amato. In America ci sono le dinastie, che so i Barrymore o i Douglas. Quindi tutto sommato no, non mi ha aiutato».
Suo padre è morto che lei aveva solo ventitré anni, cosa ricorda di lui?
«Mi manca tanto. Quanto si sarebbe divertito con me».
Che cosa le ha insegnato?
«A essere disponibile con tutti, che non esistono primattori e gerarchie, che lo spettacolo è una famiglia».
In una classifica ideale dei grandi registi italiani dove lo mette?
«È il più grande. Basta vedere come ha saputo parlare di bontà, un sentimento difficilissimo, in due film diversi ma ugualmente poetici, come Miracolo a Milano e Umberto D».
E il Vittorio De Sica attore?
«Bravo. Io però non sono da meno».
Li rivede i film di papà Vittorio?
«Ogni tanto.

Ma più che nel maresciallo di Pane, amore e fantasia, dove recitava una parte, lo riconosco in Ladri di biciclette. Lì non appariva sullo schermo, eppure viene fuori il vero Vittorio De Sica».
E lei quando vincerà un Oscar?
«Quando farò un bel film».

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