
Da tre giorni il quotidiano Domani sta squadernando i messaggi che si sono spedite le due accusatrici principali del cardinale Angelo Becciu (condannato a cinque anni e sei mesi per peculato). Sono le chat segrete che rivelano la trama occulta su cui si regge il processo contro il prelato sardo. In esse Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri concordano le accuse per incastrare il cardinale. Stanno lavorando si sostengono a vicenda d'accordo con il promotore di giustizia (il procuratore) Alessandro Diddi e i capi della gendarmeria vaticana. Cominciano ad accordarsi quando le indagini sono ancora nelle primissime fasi. Le signore hanno per questo a disposizione carte segretate. Conoscono in anticipo quel che faranno i magistrati e chi costoro intendono prosciogliere e chi condannare. La Chaouqui garantisce a Genoveffa che, d'accordo con Diddi, farà prosciogliere il monsignore amico suo (Perlasca), purché riesca a incastrare il cardinale facendolo intercettare. Al che Genoveffa si presta a fare l'agente sotto copertura in Italia: «Buongiorno Francesca. Scrivimi per bene quella cosa che desiderano i magistrati». Ed ecco scatta la trappola (in Italia, indagini fuori dallo Stato coordinate dal Vaticano?)
Gli scritti tramite WhatsApp erano stati in realtà consegnati al procuratore Diddi dalla Ciferri perché fossero acquisiti durante il processo. Furono coperti da omissis, erano più di cento.
Ci sono frasi che valgono come quelle che nei gialli si chiamano «pistole fumanti». Ecco alcuni messaggi. Scrive Chaouqui: «Se viene fuori che eravamo tutti d'accordo è la fine» (tutti: cioè le due donne e Diddi e la gendarmeria). Scandalizzata dalla immoralità di questa conduzione delle indagini, la Ciferri scrive al vescovo Parra, numero 3 del Vaticano, forse per farsi assolvere: «(La Chaouqui) conosce tutti i dettagli dell'inchiesta vaticana. Da chi, e come attinge queste informazioni sensibili? Come è stato possibile che una casalinga quale sono io, che abita sotto una montagna, possa, in tempo reale, essere messa al corrente di informazioni tanto riservate e dettagliate?».
Altri messaggi li ha riferiti Felice Manti su ilgiornale.it lunedì. La sostanza è questa. Il processo è marcio. Finisco qui con la cronaca di questi giorni. I giornaloni tacciono. Ovvio.
Consapevole che ha altro da fare, mi rivolgo al Papa. Non conosco indirizzo più umano di questo.
Oggi è il Venerdì Santo: ne basta uno di Cristo in croce. Santo Padre, lei che può, stacchi i chiodi, e tiri giù da quel legno il cardinale Becciu. In questi giorni è diventato chiaro come il sole che c'è stata una macchinazione, di cui anche Lei è stato vittima, inducendola ad applicare una crocifissione preventiva, tanto le prove le apparvero inequivocabili. Lo ha esposto al mondo come traditore e ladro, sfogliando l'Espresso, che le fu presentato come fosse la Bibbia. Erano le 18:02 di giovedì 24 settembre del 2020 quando il cardinale faceva il suo ingresso nello studio papale di Santa Marta. Ne usciva poco più di venti minuti dopo avvolto dall'incredulità di quando ti si aprono le porte degli abissi e tu ci stai volando dentro come in un sogno, ma sogno non era. Alle 20:18 il Tg1 diede la notizia. Per cinquantasei giorni nessuno alzò una parola in difesa dell'accusato. Per rispetto, il Pontefice lo lasciò cardinale, privandolo però delle prerogative tra cui quella decisiva di entrare in conclave: un sacco vuoto di color porpora, come una beffa di Carnevale.
I giornalisti - e i vaticanisti non sono da meno si conformarono alla regola aurea della sopravvivenza dei mediocri: dar ragione all'accusatore. Negli anni ho acquisito l'attitudine a non bere dal bicchiere degli inquirenti. Feci lo stesso con l'affare Becciu. Ho esercitato l'intuito, come mi era capitato nei casi di Tortora e successivamente di Stasi. Usare logica e buon senso. Attingere a fonti alternative. Il 19 novembre del 2020, in perfetta solitudine, Libero, che allora dirigevo, aprì la prima pagina con questo titolo: «Sacro imbroglio in Vaticano». Occhiello: «Le carte assolvono il cardinale Becciu». Andrebbe benissimo anche per lo scoop del Domani, dopo quattro anni e cinque mesi dal mio. Per tre giorni consecutivi e quindi per settimane, e mesi, e ancora in vari interventi da quando sono rientrato a il Giornale, ho battuto sul tema, cercando di schiodare il cardinale dal patibolo.
Sono ormai quasi cinque anni che dal povero cristo di Ozieri cola sangue che nessuno tra i suoi colleghi principi della Chiesa osa tamponare, e la faccia del piccolo prete sardo è riempita di sputi che il mondo intero gli ha tirato addosso, senza una Veronica che gli asciugasse la faccia. Ci siamo trovati un muro di silenzio o di dileggio davanti, salvo colleghi illuminati come Ernesto Galli Della Loggia, Giovanni Minoli e Lucetta Scaraffia che hanno dovuto usare il loro prestigio per rompere il lucchetto della censura.
Devo alle indagini dell'avvocato Natale Callipari alcune scoperte devastanti. Il sito web dell'Espresso anticipò di 8 ore e mezza la notizia delle dimissioni chieste da Lei e ottenute da Becciu. E ancora. Genoveffa Ciferri e Callipari raccolse testimonianze precise sin dal 2020 gridò ai parenti di Becciu che avrebbe perso il cardinalato. Non era l'urlo di una pazza, ma la voce dal sen fuggita di una congiurata infelice.
La condanna non è stata soltanto un errore giudiziario, l'esito di maneggi che hanno bacato l'indagine e soprattutto ingannato Sua Santità. Lei, Francesco, è l'unico ad avere avuto il coraggio, sin dall'inizio, di invocare trattative per la pace. Purtroppo nel vasto mondo il Papa ha potere solo sulle coscienze; però nel suo Stato è sovrano assoluto.
La prego perciò, non in nome di un'autorità morale che non ho, ma per i miei precedenti di rabdomante delle ingiustizie, di eliminare con atto sovrano - un colpo secco di bisturi - questo tumore che è cresciuto in Vaticano a colpi di intrigo. Tiri giù Becciu dalla croce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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