Piazza Navona è abbastanza piena. Migliaia le bandiere rosse di Sel (Sinistra Ecologia Libertà), tante quelle dell'Idv (c'è anche Di Pietro). Del Pd, una. La coccolano, la vezzeggiano pure: «Dai, sventolatela... Senza paura! Dai!». E anche il vessillo bianco si fa un giro di giostra.
Tonino ha appena parlato, Nichi Vendola infiamma la sua piazza con le parole d'ordine di una sinistra che non vuole demordere, per la quale «la parola compagno è modernissima» e il liberismo un dominio incontrastato (che la gente comune non ha votato) di banche, speculatori finanziari e profittatori d'ogni risma. «L'Italia è fondata sul lavoro e non sulle truffe, sulle escort e sul malaffare. Hanno cancellato una storia lunga un secolo del movimento dei lavoratori, loro che non hanno lavorato neanche un giorno nella loro vita... Della Valle oggi ha comprato pagine di pubblicità sui quotidiani e avrà speso per questo, in un giorno, ciò che noi come partito spendiamo tutto l'anno...», urla Vendola dal palco, riscattando per qualche ora l'orgoglio di un popolo demoralizzato.
Il leader di Sel sfodera i suoi cavalli di battaglia, nessuno escluso, e chiede alle opposizioni di aprire il «grande cantiere dell'alternativa, plurale e giovane», senza pregiudizi nei confronti di nessuno, anzi «aperto al mondo». Di più: chiede a Bersani, Di Pietro e Casini di «guardare avanti: non accoltelliamoci alle spalle. Dobbiamo essere anche amici».
Non sappiamo bene perché, Casini a parte, del Partito democratico fosse intervenuto alla manifestazione di Sel a Roma soltanto Arturo Parisi - per giunta in rappresentanza del comitato promotore del referendum anti-Porcellum.
Però, dico, almeno una telefonata a Nichi gliela potevano fare.
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