Venezia apre con Aronofsky e celebra Gassman

Il via il primo settembre con Black swan: protagonisti Vincent Cassel e Natalie Portman. A dieci anni dalla morte del "mattatore" la versione restaurata di Profumo di donna

Venezia apre con Aronofsky e celebra Gassman

Black Swan (Cigno nero) di Darren Aronofsky, con Natalie Portman, Vincent Cassel e Mila Kunis, aprirà il primo settembre la Mostra di Venezia. Il film - che sarà in concorso - è del regista di The Wrestler (Leone d’oro 2008) e oppone due ballerine classiche, simbolo del bene del male, in competizione fra loro. O forse sono due facce della stessa persona. Insomma, Black Swan sta fra due classici del cinema: da un lato Scarpette rosse di Michael Powell e Emeric Pressburger, dall’altro La vedova nera di Bob Rafelson.

La Settimana della critica si aprirà invece col restauro di Notte italiana di Carlo Mazzacurati il cui nuovo film, La passione, dovrebbe essere in concorso. Quanto alle retrospettive, già annunciata quella del cinema comico, che includerà film - più o meno giustamente dimenticati - dagli anni Trenta ai Settanta. La novità di ieri è che, nel decennale della morte, ci sarà un ricordo di Vittorio Gassman, con la prima mondiale, ancora il primo settembre (giorno della nascita nel 1922 a Genova), di Vittorio racconta Gassman, una vita da mattatore, realizzato da Giancarlo Scarchilli con la collaborazione di Alessandro Gassman.

Il 31 agosto, come prologo alla Mostra, ci sarà all’Arena di Campo San Polo la proiezione della versione restaurata di Profumo di donna (1974) di Dino Risi - che a Gassman valse il premio come miglior attore a Cannes e il David di Donatello - nella versione approntata dalla Cineteca Nazionale. Sarà l’occasione per un ulteriore ricordo di Risi, che nel 2002 ebbe il Leone d’oro alla carriera, dopo che la Mostra non l’aveva mai invitato in concorso nel suo mezzo secolo di carriera.

Profumo di donna è ispirato dal libro di Giovanni Arpino Il buio e il miele, che oggi è in libreria, non più edito da Rizzoli come allora, ma da Dalai. E ha in copertina una fotografia tratta non dal film di Risi, ma dal suo rifacimento americano, Scent of a Woman di Martin Brest, che valse l’Oscar come attore protagonista per Al Pacino.
La collaborazione fra Arpino e Risi sarebbe proseguita con la trasposizione di Anima persa, ancora con Gassman e Catherine Deneuve. Questo film, che rispetto al libro prende come sfondo Venezia anziché Torino, ebbe minore successo del precedente e fu caratterizzato dagli attriti tra il regista e l’attrice francese, che gli inviò, a lavorazione finita, «una lettera d’insulti», secondo il ricordo di Risi.

Alla fine degli anni Settanta, la vena di Arpino si orientava verso lo sport, sia come romanziere, sia come giornalista, un modo per sfuggire al momento culminante della guerra civile per soli giovani che insanguinava l’Italia. In quel periodo Arpino, che era stato una firma di altre testate, orientò le sue simpatie verso il Giornale, fino ad approdarvi all’inizio degli anni Ottanta. Nel 1984 sarebbe nato a sua cura l’inserto domenicale «Lettere & arti», il cui ultimo numero sarebbe uscito nel gennaio 1994, dopo l’abbandono del Giornale da parte di Indro Montanelli.

Arpino riallacciava il contrastato rapporto fra il fondatore de il Giornale e il cinema. Montanelli aveva esordito come sceneggiatore di Tombolo, paradiso nero di Giorgio Ferroni ed era stato poi soggettista del Generale Della Rovere di Roberto Rossellini, Leone d'oro nel 1959. Nello stesso anno Montanelli dirigeva I sogni muoiono all’alba, presentato alla Mostra nella retrospettiva del 2009.

Questo film andò male e Montanelli prese in odio il cinema per il resto della vita, sebbene avesse poi, fra i collaboratori de il Giornale, Anthony Burgess, autore del romanzo Arancia meccanica, ispiratore del film omonimo di Stanley Kubrick; e Vincenzo Cerami, sceneggiatore di Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, divenisse a sua volta collaboratore de il Giornale e, alla fine degli anni Novanta, sceneggiasse La vita è bella di Roberto Benigni, che ebbe l’Oscar. Il successo dei collaboratori quasi mai commuove i direttori.

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