La vera Unione della sinistra è il potere

Dunque, la crisi non ci sarà, nonostante tutto. Non è solo Prodi a non volerla, non la vogliono soprattutto i presunti ribelli del centrosinistra, sia quelli che contestano la base americana di Vicenza, sia quelli che l’accettano. Strana coalizione politica, che raccoglie i favorevoli ai Pacs e i contrari, quelli che vogliono il ritiro dei soldati dall’Afghanistan, ipotizzando addirittura il distacco dalla Nato, e minacciano non si sa cosa se il governo proverà ad aumentare l’età pensionabile. Insomma, inutile illudersi, questo governo multicolore e colmo di contraddizioni fa comodo soprattutto alla sinistra radicale.
Che destino avrebbe altrimenti questa sinistra, una volta caduto il governo Prodi? I vari «compagnons» dove andrebbero, che farebbero? Si direbbe che li ossessioni quel che ha scritto Eugenio Scalfari qualche settimana fa su Repubblica: «Se Prodi cade, la sinistra scompare».
Non è una amenità, ma la ragione più vicina alla realtà che tiene in vita una scombinata coalizione di undici partiti e partitini d’accordo su una sola cosa: far durare a tutti i costi questo governo, tenersi come leader Prodi, il più insensibile, ma anche un po’ protervo, capo del governo che abbiamo fin qui avuto, che del contrasto tra gli alleati si serve per restarne al centro, tanto da vantarsi di saper tenere dritta la barra di una nave che invece va alla deriva.
No, non è un genio, ma non va sottovalutato, ha messo insieme la più sconclusionata, squinternata «compagnonnage», se ne serve per tenersi stretto il potere, monopolizzarlo, farne quel che gli fa comodo. C’è del grottesco: ricorda la Baronata del bellissimo romanzo di Riccardo Bacchelli, Il Diavolo al Pontelungo, con protagonisti gli anarchici ottocenteschi Bakunin e Cafiero.
Ci sarà mai uno scrittore che saprà descrivere con altrettanta efficacia e bravura quel che sta accadendo in questa nuova Baronata ch’è diventata la politica italiana? Bakunin e Cafiero, «eroi» del romanzo bacchelliano, erano dei romantici. Ma Prodi? Come fa dopo quel che è accaduto giovedì scorso al Senato, a cavarsela con quel comunicato in cui il vero e proprio suicidio politico nell’aula di Palazzo Madama viene definito solo il risultato di «aree di dissenso note e circoscritte»? Circoscritte? Ma sono le aree che condizionano la coalizione, le impongono la linea, la guidano, la impongono al leader, che se ne serve per non soccombere. La situazione più stramba, più folle che si sia mai vista nel governo di un Paese.
Il lettore va bene aggiornato. Mentre l’opposizione giovedì scorso presentava al Senato un ordine del giorno inequivocabile, semplice e chiaro - eccolo: «Il Senato, udite le comunicazioni del governo, le approva» - la maggioranza esibiva un suo ambiguo ordine del giorno, che non approvava le comunicazioni del governo ma ne prendeva solo atto, cioè lo teneva a distanza. Ci sono logica, coerenza, chiarezza in tutto questo? È scompiglio, caos, è anarchia persino caricaturale. Come si può parlare ancora di maggioranza, di unione, di linearità, di governo?
Altro che paradosso, come ha detto irato il ministro della Difesa, Parisi - al quale va dato atto di aver fatto una relazione coerente, corretta - che s’è visto approvato dall’opposizione e messo in mora dalla sua stessa maggioranza. La più assurda Babele, ancora più incredibile di quella biblica. Come fa un governo a stare in carica in simili condizioni? Con quale fiducia? Si dice: è stato vittima di un tranello. Ma no, nessun complotto. L’opposizione ha fatto quel che doveva e appariva chiaro; è la maggioranza che non c’è e non ha saputo neppure fingere di esserci.


Dove mai può andare un governo simile? Vedremo come se la caverà con i Pacs, l’Afghanistan, le pensioni e, chissà cos’altro. Prodi inventerà qualche altra lenzuolata? Non si dica che stiamo esagerando: il Paese sta cadendo nel ridicolo.

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