La verità oltre la leggenda nel libro contestato ma attendibile dello storico afroamericano Marable

Quella X nera è qualcosa di più di una leggenda. È l’orgoglio della nazione invisibile narrata da Ralph Ellison, è un mausoleo, è il rancore di chi non si riconosce neppure nell’America di Obama, è una croce, un martirio, un urlo di libertà, è un sacrificio da fratello a fratello, è santità, è qualcosa di intoccabile, è un pugno incrociato contro la schavitù, è una voce, è un viaggio alla Mecca, è l’Islam prima delle due torri, è un preghiera. Ma sotto quella X, sacra e intangibile, c’è ancora molto da raccontare.
Non è facile parlare di Malcolm X. È come svelare la vita quotidiana di Maometto. Qualcosa di quello che dici diventa sacrilego. Non corrisponde alla verità del libro sacro. Donzelli ha pubblicato una biografia che in America è stata un caso editoriale e una bestemmia: Malcolm X, tutte le verità oltre la leggenda (pagg. 616, euro 29,90). Non è gossip. Non è il tentativo di sporcare un simbolo, un mito. È il lavoro di un uomo che a questo libro ha dedicato gli ultimi vent’anni della sua vita. Non lo ha mai visto sugli scaffali di una libreria. È morto tre giorni prima, a 60 anni. Manning Marable era un professore della Columbia University e uno dei più grandi studiosi dei movimenti di liberazione dei neri d’America. Era uno dei leader del movimento afroamericano. Nell’ultima sua apparizione televisiva, nel programma Democracy Now parlava così di Malcolm. «È la figura storica più importante prodotta dall’America Nera. Nei suoi brevi 39 anni di vita Malcolm X divenne il simbolo dell’America Nera urbana, della sua cultura, la sua politica, la sua militanza, la sua indignazione». Dove sta allora lo scandalo? Marable ha raccontato il Malcolm X reale, andando a scavare sotto il santino, quello quotidiano, con le sue debolezze, con le sue bugie. Marable ha messo in discussione alcuni aspetti dell’autobiografia del leader nero, quella scritta con Alex Haley, diventata negli anni una sorta di libro sacro da cui non si può deviare. L’unica verità possibile.
Marable racconta che quell’autobiografia non dice tutto. Malcolm aveva esagerato la sua storia criminale. La sua fama da cattivo serviva a illuminare la sua redenzione. «Se ci sono riuscito io possono farlo anche altri». Ma questo in fondo già lo pensavano in molti. Lo scandalo arriva dopo. Quando il professore evoca la relazione omosessuale con Paul Lennon, ricco uomo bianco, per ricavarne soldi e protezione. È difficile da digerire come le trattative, in carcere, con il Ku Klux Klan. Malcolm X era convinto i razzisti bianchi avessero, in fondo, lo stesso obiettivo degli ex schiavi. Il KKK voleva cacciare i neri e i neri volevano andare via per costruire la loro nazione.
Malcolm era arrivato ai vertici della Nation Of Islam, delfino del leader Elijah Muhammad. La storia della rottura la conoscono tutti. Invidia, gelosia, moralismo. Malcolm era rimasto deluso dagli adulteri del suo capo. Ma c’è anche il viaggio alla Mecca, l’incontro con i sunniti, l’apertura al dialogo. «Da quando alla Mecca ho trovato la verità, ho accolto fra i miei più cari amici uomini di tutti i tipi - cristiani, ebrei, buddhisti, indù, agnostici, e persino atei. Ho amici che si chiamano capitalisti, socialisti, e comunisti. Alcuni sono moderati, conservatori, estremisti. Oggi i miei amici sono neri, marroni, rossi, gialli e bianchi». È qui Muhammad lo accusa di tradimento. Per Marable oltre a tutto questo c’era anche una questione molto più personale. Malcolm aveva avuto una storia con una ragazza, Evelyn Williams, che poi era finita nel harem del suo capo. Muhammad l’aveva messa in cinta e poi abbandonata.
Una delle parti del libro più contestate è la storia matrimoniale di Malcolm. Si sposa con Betty perché un pastore doveva farlo. Ma c’è molto dovere e poco amore. Tanti tradimenti, dell’uno e dell’altra. La relazione non assomiglia al film di Spike Lee e Malcolm è molto più ambiguo di Denzel Washington. Attenzione, però. Questi sono tutti particolari marginali. Ma negli States si è parlato più di questo che del resto. È qui che si sfregia la leggenda. Sono questi aspetti quotidiani che fanno cadere su Marable l’accusa di blasfemia.
Il Malcolm di Marable è invece una figura molto più umana. Quello che chiede ai neri è di non rinnegare se stessi per mischiarsi con i bianchi. È il principe nero che illumina raccontato dalla cultura hip hop. La sua violenza è legittima difesa contro l’abuso del potere e in questo c’è il riconoscimento naturale dei diritti dell’uomo, il cuore della costituzione americana. Malcolm cerca di dare un volto e un’identità agli invisibili di Ellison. Non rinnega l’America, ma la completa. Il suo testamento è nel discorso del gennaio 1965 a New York. «All’inizio della storia di questo paese, c’erano tredici colonie. Erano i bianchi a essere oppressi. Così alcuni di loro si fecero avanti e dissero: libertà o morte. L’uomo bianco ha commesso l’errore di farmi leggere i suoi libri di storia.

Ha fatto l’errore di insegnarmi che Patrick Henry e George Washington erano patrioti, e non c’era niente di non violento nel vecchio Pat e in George Washington. Quei tredici staterelli morti di fame, stanchi di tassazione senza rappresentanza, stanchi di essere oppressi, sfruttati e umiliati, dissero a quell’enorme Impero Britannico: libertà o morte».

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