Il ferimento fortunatamente leggero di una sessantina di soldati e soldatesse israeliani, colpiti nel sonno nelle loro baracche di un campo militare a ridosso della striscia di Gaza da due razzi palestinesi, è un triplice test per entrambe le parti. C'è il test tecnico-economico che mette alla prova la loro capacità di sostenere questa guerriglia missilistica. Essa costa 50 dollari circa per razzo, ai palestinesi, e 50.000 dollari agli israeliani per tentare - con poco successo - di fermarne uno in volo. C'è poi il test socio-psicologico.
Con questi razzi di fattura quasi artigianale, i palestinesi ottengono un successo psicologico e mediatico notevole sul loro piano interno, sul piano di prestigio arabo islamico e sul piano politico israeliano. Gli scopi sono doppi. Da un lato questi razzi fabbricati in casa, dimostrano una volta di più la vulnerabilità del fronte interno israeliano che il controllore dello Stato, Micha Lidenstrauss, ha denunciato nel suo vetriolico rapporto di inchiesta sulla condotta della guerra da parte del governo Olmert. Dall'altro, questi razzi aggiungono pressione sul governo di Gerusalemme perché si decida a condurre un'azione di risposta «chirurgica» contro la striscia di Gaza per mettere fine allo stillicidio dei bombardamenti. È qui che interviene il terzo difficile test politico per Olmert (ma di converso anche per il premier Haniyeh del governo di Gaza) lanciare una grande offensiva contro Gaza significa rispondere a molte tentazioni: dare una mazzata alla forza militare di Hamas, in modo da ridurre il pericolo dell'apertura di un secondo fronte in caso di guerra con la Siria; soddisfare la domanda di azione del pubblico israeliano; ristabilire il prestigio e l'elemento deterrente perso dall'esercito nella seconda guerra del Libano; indebolire - forse catturare - l'intero governo di Hamas rinforzando quello del presidente Abbas in Cisgiordania, con la possibilità di ripristinare il controllo (e l'insicurezza) di Al Fatah a Gaza. Infine, con un poco di fortuna, riuscire a liberare il caporale Shalit.
Ma i pericoli per il governo Olmert non sono meno grandi delle tentazioni. L'esercito non si è ancora ripreso dallo shock della guerra contro gli hezbollah di un anno fa, né ha completato la sua riorganizzazione per correggere gli errori rivelati da quella breve guerra. Hamas - con un milione e più di civili pigiati in centri abitati - è militarmente molto più forte delle varie organizzazioni armate palestinesi del passato. Una vittoria completa è impossibile da ottenere a Gaza. Le perdite umane previste molto elevate. La durata dell'offensiva imprevedibile, con tutte le possibili ricadute sul piano internazionale e mediatico. La necessità di consolidare qualunque successo obbligherà al ritorno di una occupazione di Gaza. L'indebolimento - non sicuro di Hamas - non significherebbe da parte di Al Fatah e del presidente Abbas, un indebolimento delle richieste territoriali, politiche e umane (ritorno dei rifugiati; fine dell'occupazione di Cisgiordania; liberazione di prigionieri palestinesi; questione di Gerusalemme) nei confronti di Israele. Semmai renderebbe più rigida la posizione di Abbas nei confronti di Olmert, per evitare l'accusa di collusione con il nemico.
Ma c'è un'ultima incognita di grande peso: che impatto avrebbe una offensiva del genere - ammesso che possa essere portata a termine rapidamente - sul mondo arabo. I suoi rappresentanti dovrebbero riunirsi a Washington in novembre nella seconda conferenza di pace per il Medio Oriente. Su questa conferenza, sul dialogo costruttivo con i palestinesi che essa potrebbe produrre, sulla fine della colonizzazione, su una soluzione negoziata del conflitto insolubile con le armi, Olmert punta tutte le poche carte che gli rimangono.
R.A. Segre
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