«Vi racconto Fabrizio, come l’ho conosciuto io»

«Vi racconto Fabrizio, come l’ho conosciuto io»

(...) di Fabrizio, professor Giuseppe De André, fu uno dei primi presidenti della Fiera di Genova: intellettuale, manager di grande respiro, uomo amabile che mi accoglieva spesso a casa sua (la moglie Luisa, bellissima signora, adorava Fabrizio). Con loro c’era anche il «fratello... intelligente» (ricordate i fratelli Villaggio: Paolo lo spregiudicato... Piero lo studioso). Ecco così erano Mauro e Fabrizio: Mauro divenne uno degli avvocati più noti d’Italia, salvò il presidente Paolo Mantovani da difficili vertenze petrolifere. Purtroppo è mancato prematuramente. Oggi rivedo la sua gentile consorte, sia allo stadio (è molto amica della signora Mondini) e l’ho vista anche alla presentazione di questa splendida «mostra-ricordo».
Mauro era mio compagno di banco al liceo Doria: il più bravo, il più ammirato da tutti noi, studiava poco e sapeva tutto. Fabrizio, dal canto suo stava cercando una sua collocazione. Papà Giuseppe voleva per lui il famoso (allora) «posto fisso». E siccome era proprietario dell’Istituto commerciale a Sampierdarena, ecco che avrebbe visto benissimo Fabrizio al suo fianco. Figurarsi!
Il mondo genovese di allora era per Fabrizio, comunque, dorato. Viveva nel «Paradiso», quella che tutti conoscevano come «Villa Saluzzo Bombrini, via Albaro 4. Una reggia, invidiata da tutti. Ma lui forse non ci stava nemmeno tanto bene. Voleva uscire da certe mura: come scrive lui: «Cosa poteva fare alla fine degli anni Cinquanta un giovane nottambulo, incazzato mediamente colto, sensibile alla vistose infamie di classe, innamorato dei topi e dei piccioni, forte bevitore... Se fosse sopravissuto e gliene si fosse data l’occasione, costui, molto probabilmente, sarebbe diventato un cantautore». Così, infatti è stato.
Erano comunque anni vivi a Genova, il teatro era fremente, c’erano spinte e stimoli culturali notevoli in noi giovani: erano gli anni della «Borsa d’Arlecchino», dove pensate, proprio lì Fabrizio decise di far ascoltare una delle sue prime ballate («Nuvole barocche» che pochi forse conoscono). La «Borsa» aveva spesso spazi per il cabaret: un autore eccellente era Gianni Cozzo, belle ragazze come Luisa Forti e Marina Cardullo dominavano le scene della «cave». Ebbene quanta fatica da parte di tutti per mandare Fabrizio in scena: non voleva, diceva di bloccarsi davanti al pubblico. E quelle «Nuvole barocche» furono forse il primo spiraglio per rompere quella timidezza, quella scontrosità, quel pudore che ha sempre caratterizzato Fabrizio in quegli anni. In una stagione della Baistrocchi, finalmente accettò di entrare in proscenio, un piccolo spazio e fu lì che trionfarono le indimenticabili «nuvole».
Ma Fabrizio era anche uno che amava la famiglia: e per la mamma il suo matrimonio rappresentò una conferma dell’animo «borghese» del figliolo. Almeno per lei. La moglie, bellissima ragazza della Genova-bene, si chiamava Puny Rignon (purtroppo è mancata anni fa). Era una famiglia felice, nacque Cristiano e papà Fabrizio, ormai diventato famoso, riuscì per anni a contemperare il ruolo di padre con quello di cantautore «amico della bagasce» (sono parole sue che riappaiono nel catalogo della mostra), cantore feroce di qualunque cordata politica, sposo inaffidabile...»
Ma che anni indimenticabili erano quelli! Fabrizio li ricordava sempre dicendo: eravamo un po’ intellettuali, un po’ goliardi, un po’ sporcaccioni. E con Villaggio scrisse il «Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers». E ancora, nel ’62, «La guerra di Piero», ricordando i racconti dello zio Francesco tornato da un campo di concentramento.
Dal «Paradisetto» di Albaro, il volo verso il successo.

Ma chi ha vissuto certe serate in casa De André (come capitò ogni tanto a chi scrive), su divanetti sontuosi, specchiere, mura seicentesche di una Genova sfolgorante, accanto alla mamma Luisa, tenera e dolce, a papà Giuseppe severo e rigoroso in pubblico, ma eccellente narratore di barzellette in privato, con Mauro professorale, ma dotato di un sottile senso dell’ironia («Pensa, Vittorio, io sono definito il fratello del grande cantautore Fabrizio...»), non può dimenticare quei momenti e quel Fabrizio «giovane nottambulo, sempre incazzato, mediamente colto...».
È stato bello vivere quelle stagioni.

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