Che cosa si nasconde dietro il caso Visco? Per quanto grave sia, il comportamento del viceministro dell’Economia non giustifica il fuoco di sbarramento che la sinistra ha messo in atto, evocando sui giornali amici inquietanti quanto improbabili manovre piduiste dietro le accuse all’esponente diessino. Il caso Visco è un esempio lampante di ingerenza della politica nelle decisioni di un corpo militare dello Stato e il viceministro dovrebbe essere indotto a far le valigie. Se lo difendono, non è solo per calcolo politico, ossia per timore che la caduta di Visco apra una frana che trascini a valle anche il governo. Ho la sensazione che ci sia di più. Che l’operato del viceministro nasconda qualche mistero poco glorioso, legato a Unipol e ai Ds.
Perché ho questo pensiero? Semplice: ricordo il clima eccitato che precedette la decisione di Visco di rimuovere i quattro ufficiali che avevano la responsabilità delle indagini sulle scalate finanziarie. Prima dell’estate dello scorso anno, in Procura si parlava addirittura di rinviare le vacanze. Motivo: le intercettazioni legate alla vicenda Unipol. Dopo il tentativo – andato male – di rimuovere i vertici delle Fiamme gialle a Milano, l’eccitazione dei Pm sparì. Passarono le settimane e anche i mesi senza che di quell’inchiesta si sapesse più nulla. Adesso che le indagini paiono essere riprese, l’inquietudine del centrosinistra è aumentata e si è trasformata in vero terrore. Difendere Visco e mettere le mani sulla Gdf sono diventati due punti irrinunciabili del programma di governo.
Cosa c’è dunque da nascondere? Cosa non dobbiamo sapere? Vediamo di riepilogare: domenica la linea di difesa sul caso Visco l’ha dettata Eugenio Scalfari, il direttore che sussurrava ai governi e con i suoi consigli affossò prima Berlinguer e poi De Mita. Il fondatore di Repubblica ha spiegato che Visco decise di rimuovere gli ufficiali milanesi per le gravissime irregolarità nel sistema delle intercettazioni telefoniche avvenute nel corso delle scalate a banche e giornali. A Barbapapà poco importa che la Procura generale abbia escluso comportamenti scorretti dei militari che comandavano la Finanza in Lombardia e meno ancora importa che – agli atti – risulti evidente che lo stesso viceministro non fu in grado di spiegare perché quei quattro dovessero essere rimossi. La linea tracciata da Scalfari e difesa ieri, sempre su Repubblica, da Giuseppe D’Avanzo è accreditare la tesi di un potere occulto, di indagini illegittime, di intercettazioni ancor meno legali. In pratica una P2 che abbraccia il servizio segreto militare e la Guardia di finanza. Insomma, dal fuoco siamo passati al fumo di sbarramento.
La teoria del complotto tenuta a battesimo da Barbapapà non è solo frutto della fervida immaginazione di un giornalista che sui tentati golpe – veri o presunti – e sugli allarmi democratici costruì la sua carriera. È il tentativo di delegittimare in anticipo gli sviluppi di un’indagine, un modo per mettere le mani avanti. La lenzuolata in cui si è prodotto Giuseppe D’Avanzo da questo punto di vista era chiarissima. A preoccupare sono le «migliaia» (il giornalista come al solito esagera: sono un centinaio) di intercettazioni raccolte nell’inchiesta Antonveneta-Bnl. E a questo proposito D’Avanzo cita l’ex presidente di Unipol e le conversazioni con Fassino, D’Alema e il senatore Nicola Latorre. Che siano quelle il cuore del problema?
Ripeto la domanda.
Che cosa non dobbiamo sapere riguardo alle operazioni finanziarie milionarie di Consorte? Ma, soprattutto, perché il centrosinistra ha tanta paura dell’indagine che ruota intorno a Unipol al punto da evocare logge massoniche e tintinnio di sciabole? Cosa vogliono occultare gli esperti nella denuncia dei poteri occulti?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.