IL VIALE DEL TRAMONTO

Molti si domandano dove vada Prodi con questa Finanziaria. Io non ho capacità divinatorie e soprattutto non voglio mischiare i desideri con le previsioni, ma ho la sensazione che stia pedalando con una certa lena verso casa. Non avverrà subito, può essere che c’impieghi mesi per coprire il percorso Roma-Bologna, forse un anno e più, ma credo proprio che il dopo Prodi sia già cominciato.
A farmi pensare che il Professore sia sul viale del tramonto è più di un elemento. In particolare mi ha colpito la reazione dei sindaci rossi, solitamente sempre pronti a sostenere la causa comune per via del vecchio motto leninista che il fine giustifica i mezzi e – come dimostra la storia comunista – anche i pazzi. Ma stavolta gli stessi sindaci che con la Finanziaria di Berlusconi avevano preconizzato un futuro di città spente e di serate a lume di candela, avuta notizia dei tagli del governo, in principio sono stati zitti, poi appena hanno inteso che Prodi con la manovra non metteva le mani solo nei portafogli degli italiani ma anche in quelli loro, delle loro amministrazioni, hanno cominciato a strepitare come polli spennati. Sergio Cofferati promette che non farà lo sceriffo di Nottingham, ossia non toglierà ai bolognesi per dare al principe Giovanni, e in un’intervista al Corriere della Sera smonta pezzo dopo pezzo il capolavoro vampiresco del duo Visco-Padoa Schioppa, dando dei somari perfino ai suoi compagni di sindacato. È vero che qualche sindaco ha ambizioni personali e non sta più nella pelle di primo cittadino e sogna di farsene una da premier (vedi Walter Veltroni), ma la ribellione è compatta: lotta dura contro la tosatura.
A indurmi a credere che sia iniziata l’agonia del governo non è però la sola rivolta delle teste di turco. I guai di Prodi sono con tutta la sua maggioranza. Con i Ds, che ancora una volta – come nel ’98 – non si sentono rappresentati. Con la Margherita che è sempre più insofferente ed è divisa anche al suo interno. Ma persino l’area della sinistra radicale sta mostrando crescente insoddisfazione. Le coccole che Prodi riserva al partito della Rifondazione in cachemire non placano i militanti di Bertinotti, i quali si domandano che fare e se la rivoluzione può ancora attendere. Diliberti e Verdi non sono da meno e infatti il sol dell’avvenir non ride più da un pezzo. Ieri sul Manifesto – già immusonito perché il governo ha dato una leggera sforbiciata alle sovvenzioni che lo sostengono, insieme al baraccone di cartapesta degli organi di partito – Roberta Carlini, dopo aver lamentato i tagli alla spesa sanitaria e la mancanza di investimenti nella scuola e nella ricerca, si domandava: ma a che servono questi sacrifici? «Qual è l’obiettivo finale: il risanamento? Lo sviluppo? Il welfare? Il mercato?». Perché, si domanda Luca Ricolfi, sociologo rosso e autore di un magistrale saggio sull’antipatia della sinistra, il governo dà cifre confuse e poco trasparenti, perché tanto accanimento nel disinformare i cittadini? Già, che motivo c’è di fare una Finanziaria che toglie 100 euro a chi ne guadagna 2.500 per darne 10 al mese a chi ne guadagna meno di 2.500? È questa l’equità sociale?
Anche fra gli imprenditori cominciano a non poterne più: presa in giro sul Tfr e infinocchiata sul cuneo, l’ala sinistra di Confindustria sta abbassando la cresta, ma soprattutto sta rifacendo i conti, e quale sia il saldo lo si capisce leggendo giornali amici come Corriere della Sera e Stampa, che pubblicano editoriali sempre più spazientiti.
È difficile stare alla guida di un governo contro il volere della propria maggioranza e di quelli che un tempo si chiamavano «poteri forti». Ecco perché ritengo che il professore se non i mesi abbia i semestri contati. A meno che...

A meno che, per salvarsi, l’uomo senza parte né partito non si metta nelle mani del sindacato, ossia trasformi Cgil, Cisl e Uil nelle proprie legioni, governando con loro. In tal caso a essere sul viale del tramonto non sarebbe Prodi, ma tutto il Paese. E allora ci toccherebbe rimpiangere, non Berlusconi - che sarebbe scontato - ma perfino D'Alema.

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