«Se uno appicca il fuoco con lo scirocco che soffia a 70 chilometri all’ora, non può non sapere che cosa succederà. Non può non pensare che, oltre a distruggere ettari di boschi, può uccidere uomini e animali. Può fare una strage. Ecco, in questo senso, i piromani di Patti non potevano non sapere. Hanno agito consapevolmente, non con leggerezza o per distrazione. E adesso, con l’accusa di omicidio colposo, fra qualche giorno saranno fuori di prigione».
Il vicequestore della Forestale, Giuseppe Vadalà, 44 anni messinese, vive quest’estate di fuoco in prima linea. È a capo del Niab, il nucleo investigativo antincendi boschivi, una sorta di Ris della Forestale che, da un capo all’altro dell’Italia, si muove tra le fiamme per ripercorrere a ritroso le tracce dei nuovi delinquenti che hanno seminato e stanno seminando terrore e morte armati di taniche di benzina, inneschi e accendini.
Un lavoro difficile, a volte quasi impossibile, che viene vanificato da certe sentenze...
«È un dato di fatto che certe sentenze ci lasciano perplessi, sconcertati. Ma è anche vero che il reato che noi contestiamo alle persone che arrestiamo è un reato che molti magistrati non riescono ancora a percepire. Ci chiedono prove, ci chiedono indizi di colpevolezza ben precisi, per distinguere il dolo dalla colpa. Perciò abbiamo intensificato il lavoro investigativo e in alcuni casi, come a Latina, siamo riusciti a incastrare il piromane con la prova del Dna, facendolo condannare a 3 anni e 8 mesi...»
Forse certi giudici questo reato non lo vogliono capire....
«Vede, prima del 2000, prima che venisse introdotto, con l’articolo 423 bis del codice penale il reato di incendio doloso, nemmeno si cercavano gli autori di un incendio. Si pensava a spegnere le fiamme e basta. Altro che arresti. Ora siamo ad un bivio, ad una svolta molto importante. Noi della Forestale ci rendiamo conto che quest'estate, proprio per la sua tragicità, può essere la migliore occasione perché il reato d’incendio boschivo doloso venga finalmente compreso in tutta la sua gravità. E come tale punito adeguatamente»
Lei ha scandito quell’adeguatamente. Perché?
«Perché i piromani si devono sentire braccati, sotto pressione. E a far sentire loro il fiato sul collo ci pensiamo noi. Ma non devono sentirsi impuniti, non devono nemmeno pensare per un attimo che, una volta presi, potranno farla franca. E a questo, alla certezza della pena, ci devono pensare altri, visto che gli strumenti ci sono»
Lei definirebbe i piromani nuovi terroristi?
«Per certi aspetti direi proprio di sì. Ma visto che l’efficacia della nostra attività investigativa si fonda proprio sul profilo dei delinquenti con cui dobbiamo confrontarci, dico anche che il profilo dei piromani non è esattamente quello di un terrorista. I piromani sono pastori che vogliono spadroneggiare nel loro territorio e se ne fregano dell’agriturismo che ospita persone. I piromani sono piccoli delinquenti che vogliono vendicarsi di un'angheria o punire un rivale. I piromani sono pazzi che si esaltano a vedere le fiamme. I piromani sono anche i bracconieri che vogliono mettere in fuga i cinghiali o altre prede per sorprenderle in un territorio più favorevole. Converrà, quindi, che il profilo criminale delle persone che dobbiamo colpire e inseguire è piuttosto complesso»
Come si fermano i piromani?
«Presidiando il territorio e qui ci sarebbe da fare il solito discorso delle risorse e dei mezzi che sono quelli che sono. Eppure, laddove lo Stato c’è e fa sentire la sua presenza come è accaduto a Latina, ecco che la gente applaude. Come ha applaudito i nostri uomini che sono andati a riportare in carcere chi meritava di stare in carcere»
Vicequestore, per concludere: frustrati, stanchi e delusi?
«Stanchi un po’, forse, anche perché, regioni autonome escluse, perché hanno proprie risorse, gli uomini della Forestale sono in tutto ottomila e se pensa che i vigili urbani di Roma sono settemila... Frustrati direi certamente.
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