Vipers senza veleno non basta Helfer per uscire dal letargo

I campioni dell’hockey cercano riscatto in semifinale ad Alleghe Fatali all’esordio 19 giorni di stop

Vipers senza veleno non basta Helfer per uscire dal letargo

Una dinastia costruita su cinque scudetti consecutivi. E un solo guardiano a custodirla. Anche se fa il difensore, uno dei migliori del nostro hockey ghiaccio, «no, il migliore», azzarda Michel Goulet, ct della nazionale, «il migliore per qualità tecniche, pattinaggio, capacità di leggere il gioco». Di chi parla Goulet? Di Armin Helfer, altoatesino di Brunico, 27 anni a giugno, numero 6 dei Vipers. È a Milano dal 2001 e da allora la squadra dell'Agorà ha vinto cinque titoli su cinque e solo tre giocatori possono metterli tutti in bacheca: lui, Helfer, e i gemelli Andrea e Matteo Molteni. I Molteni hanno smesso, Armin continua. Se vincesse anche quest'anno, sarebbe l'unico (oltre a coach Adolf Insam) a vantare un sei su sei. Ma la missione si è complicata.
Giovedì sera, in gara 1 di semifinale, i Vipers sono caduti in casa 2-1 all'overtime contro l'Alleghe, in una partita per cultori dei portieri più che degli attaccanti, e stasera, in Veneto, devono rimediare. La serie è al meglio delle cinque partite ma finire sotto 2-0 sarebbe letale. «Abbiamo pagato la pausa fra la fine del campionato e i playoff», sintetizza Helfer. Una formula folle ha infatti costretto i Vipers a uno stop di 19 giorni in attesa della sfidante in semifinale. Ci è arrivato un Alleghe sette polmoni che solo martedì era sceso in pista nei quarti ma che ha punito gli errori di un Milano imballato dalle mini-vacanze e poi dal mini-ritiro a Vipiteno.
Le possibilità di rilanciarsi passano anche dalla stecca di Armin, papà di una bambina di 7 anni, tifoso dell'Inter e del Colonia («mi piace la Bundesliga, se uno si fa male si fa male, non finge»), giocatore che a Milano ha trovato un contratto da professionista e pure una fan page sul web. «Appartengo a una generazione di ragazzi di Brunico che potevano fare strada: invece molti hanno appeso i pattini al chiodo. Di hockey, un italiano non vive o vive senza costruirsi il futuro. Io, un domani, vorrei allenare. Ma in questo sport ci vorrebbero i soldi della tv. Che invece fa vedere lo sci. Detesto lo sci, la discesa è sempre la stessa. Nell'hockey ogni azione è diversa». E, se ci si annoia, si può fare come Helfer, difensore capace di incursioni solitarie in territorio nemico o di buoni assist. «Sì, ma poi qualche compagno di squadra dice all'arbitro che l'assist è suo e le statistiche non tornano. Lo scudetto più bello? Il primo: ero appena arrivato dalle valli, dove conosci tutti. Qui ancora non so chi sia il mio vicino di casa. Il campione che ho più ammirato nei Vipers? Rob Cowie, un canadese che giocò qui un paio di anni: visione di gioco e gran tiro in pista. Fuori, faceva morire dal ridere».


Ora, invece, bisogna scavalcare l'Alleghe, dopo un inverno di alti e bassi. «Abbiamo perso la Coppa Italia in gennaio ma è meglio così, ora siamo più arrabbiati. Il voto al mio campionato? Risponderò dopo la finale». C'è una dinastia da far continuare.

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