Visioni Nel bazar non c’è più posto, ma l’arte è libera

da Venezia

Se già nel 1895, all’alba della prima Biennale internazionale di Venezia, un gruppo di dissidenti inscenò una protesta in costume all’insegna del motto «Ars Libera», oggi, all’uscita della Biennale, manifesta uno sparuto numero di sostenitori del referendum. E se gli autori di un importante saggio del catalogo di ILLUMinazioni dal titolo Il bazar di Venezia - Beat Wyss e Jorg Scheller - si chiedono quale senso conservi oggi una mostra divisa in padiglioni nazionali, «relitto delle esposizioni universali del XIX secolo», potrebbero rispondere i curatori degli stessi padiglioni, sempre più concentrati, sempre più nazionali. Nel cuore del mondo globalizzato e «glocalizzato», l’ordine e il rigore che promanano dai singoli confini e dai caratteri individuali, fa riflettere su quel che sia la mostra oggi.
Il padiglione tedesco di Christoph Schlingensief è un’installazione dedicata a quest’artista morto l’anno scorso che ripercorre la sua vita e la sua malattia all’interno di una chiesa. Con l’ossessione tedesca per la religione, un’ossessione che promana ormai dall’arte di tutti i Paesi, convive l’eccesso autobiografico e psicanalitico della contemporaneità.
Le ragioni autobiografiche scalano tra la dimensione individuale e la politica dei propri stati: così lo spettacolare padiglione israeliano diffonde il problema della nazione attraverso l’opera della giovane Sigalit Landau, in cui, tra altissima tecnologia e una persistente sofferenza, si gioca ancora il problema dei confini nazionali.
Alla fine del saggio, Wyss e Scheller tornano sui propri passi, dopo un lungo periplo che, attraversando Heidegger e Hegel, giunge a riconfermare l’importanza della divisione per padiglioni, «inaspettatamente d’attualità». Quindi l’esuberanza disordinata e gioiosa del Padiglione Italia, dove ancora ieri sera arrivavano casse di opere, dove Sgarbi accoglie «i clandestini dell’Accademia» alle otto di sera, rivela un aspetto vero del nostro paese.

Tutti fanno di tutto per esserci.
È la «Biennale internazionale d’Arte», come nel 1895. Non c’è più spazio, ma almeno davvero, come dice Lorenzo Da Ponte nel Don Giovanni, «è aperto a tutti quanti, viva la libertà». («Ars libera»).

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