Vita e miracoli dei recensori saltapagine

Antonio D’Orrico non l’ha presa benissimo, l’inchiesta del Giornale sui Recensori Saltapagine, i critici che non si sa dove trovino il tempo di leggere. Analizzando riga per riga il magazine del Corriere, Luigi Mascheroni ha scoperto che il severissimo recensore ha recensito la bellezza di 5.328 pagine librarie in un mese. E non erano mica 5.328 pagine di fumetti e autobiografie di vip televisivi. Macché, nel terrificante monte-pagine c’erano pesi massimi della letteratura come Nabokov e Yehoshua, scrittori che non si possono certo assimilare con una rapida scorsa. «Io i fondamentali del mio mestiere li rispetto! Io leggo! Eccome se leggo! E poi ci penso anche su prima di scriverne!». Il critico calabrese dev’essere stato punto nel vivo, dato il tono (piuttosto alto) della voce. Ma ci spiega, caro D’Orrico, come fa a leggersi 177 pagine e mezzo al giorno, tutti i giorni, domeniche, festivi, vacanze e mal di testa compresi? «Sono cazzi miei! Mascheroni non ce la fa e io ce la faccio!». Vabbé, ci perdoni per avere dubitato dei suoi superpoteri. E complimenti per il lessico: «cazzi miei» è un’espressione mutuata dai racconti di Vladimir Nabokov appena pubblicati da Adelphi?
Per fortuna ci sono colleghi disposti a un ragionamento compiuto. Qualcuno perfino a svelare qualche segreto dello sporco, sottopagato, sospettato mestiere di recensore. Francesco Borgonovo di Libero - il quale, comunque precisa che non tutte le sue recensioni contate da Masceroni siano tali - ha una ricetta costosa: «Comprare i libri». Al lettore non addetto ai lavori sembrerà un’ovvietà e invece si narra di recensori che non entrano in una libreria da vent’anni. I libri da recensire sono inviati, di norma, dagli uffici stampa delle case editrici. Ovviamente gratis. Ma un prezzo da pagare c’è sempre, agli editori munifici bisogna garantire un occhio di riguardo, mano leggera nella critica ed enfasi adeguata nell’elogio. Altrimenti c’è il rischio che chiudano i rubinetti. Nei casi estremi tocca mettere mano al portafoglio. Chi scrive, ad esempio, godendo di fama destrorsa ha notevoli difficoltà con gli editori di più stretta osservanza democratica (tanto per fare nomi: Feltrinelli, Laterza, Sellerio) e spesso e volentieri è costretto ad approvvigionarsi presso la storica Libreria Fiaccadori di strada al Duomo, Parma. Sconto dieci per cento, pagamento pronta cassa. Il metodo dell’acquisto affina le capacità critiche, ci si trasforma da lettori ad annusatori, si impara a riconoscere da lontano le panzane promozionali, le fascette millantatrici, i virgolettati estorti agli scrittori famosi per lanciare lo scrittore esordiente. Spesso bastano due frasi, lette in piedi fra i banchi. I lettori professionisti sono implacabili come i killer. Massimiliano Parente si vanta di avere un’ottima mira: «Alcuni libri basta sfogliarli, quello di Guia Soncini non c’è mica bisogno di leggerlo tutto e di Melissa P. bastano tre pagine».
Il secondo Recensore Saltapagine confesso è Giuseppe Scaraffia, allenato a colpire duro: «Dopo trent’anni di questo mestiere un libro lo si capisce subito. I romanzi contemporanei sono estremamente semplificati, ci vuole molto poco a intuire quello che vogliono dire». Sempreché vogliano dire qualcosa che superi l’ombelico dell’autore. Per somma sfortuna dei suoi recensiti gli sparring partner dello Scaraffia critico sono stati, nel corso degli anni, Proust Casanova Stendhal Maupassant Hemingway Céline eccetera. Ovvio che gli avversari più esili caschino giù come birilli. Scaraffia oltre che scrivere sul Sole 24 Ore insegna alla Sapienza e paragona tanti romanzieri a certi suoi allievi somari: «Così come durante gli esami gli studenti impreparati chiedono tante domande cercando di strappare la sufficienza - professore mi faccia un’altra domanda - ci sono scrittori che chiedono al recensore di leggere tante pagine. Purtroppo quegli studenti e questi scrittori restano quello che sono, indipendentemente dal numero di domande e di pagine. Meditare a lungo sugli esiti modesti dei loro sforzi rischia anzi di peggiorare ulteriormente il giudizio». Poi c’è la soluzione del nostro Giuseppe Bernardi che è la specializzazione, l’approfondimento di un solo spicchio di scibile: «Tendo a recensire solo classici oppure libri della letteratura inglese, opere di cui conosco già l’autore o almeno il contesto. Nessuno può recensire tutto, si rischia il raffazzonato». Anche Filippo La Porta si propone di scrivere poco ma buono e come quasi tutti non ci riesce: «Avrei bisogno di un sostanzioso contratto di collaborazione in esclusiva». Non avendolo scrive su un rosario di testate, dichiarandosi anche lui Saltapagine perché di molti libri, fa l’esempio fresco di Hitler di Giuseppe Genna, un recensore appena sveglio si fa un’idea anche troppo presto.
Paolo Di Stefano è un corrierista meno bulimico di D’Orrico: Mascheroni ha calcolato che ingurgita mensilmente solo un migliaio di pagine. Si può fare, se come Di Stefano si fa solo quello: «Sono pagato per leggere e posso permettermi di farlo anche di giorno, non solo nei ritagli o di notte». Beato lui. La maggior parte dei forzati della recensione il tempo pieno se lo scorda. La lettura è sempre tempo rubato a qualcos’altro. Si sfruttano molto gli spostamenti: non fidatevi di un recensore che usa la macchina, il recensore scrupoloso prende il treno, meglio se regionale, e non si lamenta del ritardo anzi è contento, forse riuscirà a leggersi per bene il libro di cui dovrà scrivere domani. Forse. Di solito non ci riesce e scrive un articolo che, a meno non si tratti di un elogio sperticato, il recensito giudicherà sciatto e superficiale.
Angelo Mellone, saggista spesso punzecchiato, afferma di saper riconoscere il Saltapagine: «Usano la tecnica di citare la frase di una pagina precisa, poniamo la 23, per nascondere di non aver letto le pagine precedenti e seguenti». Però non infierisce, magnanimo: «C’è chi per un pezzo prende 80 euro, non può mica perderci cinque giorni». Rosa Matteucci invece denuncia il tipo di attenzione sempre parziale che le viene rivolta, perfino da parte degli elogiatori: «Glissano quasi tutti sul messaggio cristiano dei miei libri, preferiscono parlare d’altro». Ma questo non attiene al saltare le pagine bensì all’incapacità di cogliere un elemento che esula dal proprio orizzonte culturale. Il critico-medio è perfettamente agnostico e un romanzo della Matteucci potrebbe leggerlo anche tre volte senza accorgersi di nulla. Secondo Alberto Bevilacqua, i recensori non devono nemmeno più fingere di leggere, è sufficiente che inseriscano l’autore in una delle formule coniate da Arbasino per fissare le tre fasi della parabola letteraria: «giovane promessa», «solito stronzo», «venerato maestro». Passato è il tempo dell’accuratezza: «Capirai se oggi qualcuno vuole imitare Papini, che ci ha rimesso la vista per leggere tutto. Anche Cecchi era così, leggevano dalla mattina alla sera, non uscivano mai dallo studio, facevano incazzare le mogli».

Insomma fa bene alla salute, alla vista e alla pace domestica questo passaggio generalizzato dal modello Papini al modello Oscar Wilde. Ve lo ricordate che cosa disse quel genio elegante? «Per riconoscere la qualità di un vino non occorre bere tutta la botte». Basterebbe avere il coraggio di confessarlo, tutti.

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