Vita, morte e crimini di Alfred Rosenberg: il tranquillo carnefice che ispirò Hitler

Torna in libreria il saggio che ha meglio indagato il pensiero dell'ideologo del razzismo nazista. Un uomo che piegò la cultura ad arma di sterminio

Vita, morte e crimini di Alfred Rosenberg: il tranquillo carnefice che ispirò Hitler

Alla firma della pace di Versailles, nel 1919, l'entusiasmo toccò vertici retorici stratosferici. Il presidente americano Woodrow Wilson si fece interprete di questo stato d'animo, dichiarandosi fiducioso nell'avvio di una stagione di pace e progresso. A breve sarebbe successo il contrario. La democrazia aveva in realtà i piedi di argilla. I Paesi vinti si stavano leccando le ferite. Spesso dolorosissime. Il malcontento per il «nuovo ordine mondiale» non era circoscritto solo alle potenze sconfitte. Vincitori sul campo di battaglia, come l'Italia, risultavano sconfitti al tavolo della pace. La Germania repubblicana, stremata dalla logica di Versailles, diventa l'epicentro di caos, disordine, violenza politica. Prima la «rivoluzione dei soviet», repressa nel sangue dai «corpi franchi». Poi il tentativo del movimento nazionalsocialista di impossessarsi del potere a Monaco, all'inizio di novembre del 1923. Adolf Hitler, alla guida di poco meno di 2000 militanti, azzarda la carta dell'insurrezione armata. Il putsch fallisce.

Fra gli insorti c'è un uomo distinto, di bella presenza. Da poco ha compiuto trent'anni. Proviene da una famiglia baltica di origine tedesca. È nato nell'Estonia zarista, a Reval (oggi Tallin). Ha studiato al Politecnico di Riga. La «rivoluzione bolscevica» l'ha posto dinanzi ad un drammatico dilemma: restare nella Russia sovietizzata o ricongiungersi alla terra germanica dei padri? Opta per la seconda soluzione. Si stabilisce a Monaco di Baviera, dove incontra prima l'intellettuale antisemita Dietrich Eckart, poi Hitler. Il trentenne si chiama Alfred Rosenberg. Prende parte al putsch goffamente. Indossa un lungo pastrano. Impugna malamente una pistola. Schiva fortunatamente le pallottole. Fallito il colpo di mano Hitler si nasconde, prima dell'arresto. Affida a Rosenberg la guida del partito. Se ne pentirà. Ma non per questioni di lealtà. Rosenberg resterà fedele al nazionalsocialismo sino alla fine. Anche al banco degli imputati nel processo di Norimberga. Lo condanneranno a morte e la sentenza verrà eseguita il 16 ottobre 1946. Al pastore protestante che prima dell'esecuzione gli chiede se vuole i conforti della fede, risponde che nel nazionalsocialismo continua a trovare la salvezza. Rosenberg incarna il più preciso profilo dell'«uomo nuovo» nazionalsocialista.

Pessimo organizzatore, ma intellettuale di vaste letture. La sua scrittura è davvero pesante da digerire. Eppure, a lui si deve, dopo il Mein Kampf, il secondo libro di riferimento ideologico più diffuso nel Terzo Reich: Il mito del XX secolo (1930). Un macigno messo all'Indice dal Vaticano. Sbertucciato da Joseph Goebbels. Non letto o solo sbirciato dalla nomenklatura di partito. La biografia di Rosenberg è raccontata con grande lucidità da Robert Cecil in Un carnefice tranquillo. Alfred Rosenberg e la Germania nazista (pubblicato da Bietti, 346 pagine, 24 euro, accompagnato da una puntuale introduzione di Massimiliano Scuriatti). Il saggio, scritto nel 1972 da un diplomatico di carriera inglese (pubblicato da Feltrinelli nel 1973), con il trascorrere del tempo non ha perso minimamente importanza, rimanendo una biografia di riferimento, sostenuta da brillante scrittura.

Dopo la conquista del potere nel 1933, Hitler nominò Rosenberg responsabile della politica estera e della formazione filosofica e politica del partito. A lui si deve la scelta di mettere al bando ogni forma artistica di derivazione moderna. Nel 1937 a Monaco venne ufficializzato, con il sigillo di Hitler, il suo trionfo su Goebbels (sostenitore dell'esistenza dello spirito germanico nell'avanguardia espressionista) con la mostra sull'«arte degenerata». Al «romanticismo d'acciaio» sostenuto da Goebbels, Rosenberg contrapponeva il «ritorno all'ordine» entro i canonici confini dell'arte classica realista e non modernista.

Sempre a Rosenberg si deve l'ossessivo studio della «questione ebraica», ritenuta vitale per la sopravvivenza della Germania. La «pesta giudaica» si era diffusa dalla Russia sovietizzata. E lì andava estirpata. Lo sconcerto di Rosenberg nell'apprendere la firma nel 1939 del patto di amicizia (alleanza) tra Hitler e Stalin fu notevole. Ma non durò a lungo. Infatti, quando Hitler nel giugno 1941 aggredì l'Unione Sovietica, affidò a Rosenberg la responsabilità (non militare) dei territori occupati.

La dedizione del nuovo ministro fu totale, anche se dissentiva sulle modalità di gestione dell'occupazione. Ma, come gli riconosceva il Führer, della «vecchia guardia» Rosenberg era l'esponente più affidabile e leale. Dal lavoro di Cecil si deve trarre un preciso insegnamento. Nella ricerca storica si commette un errore nel lasciarsi guidare da motivazioni morali o ideologiche.

Prima bisogna valutare e comprendere. Successivamente giudicare. La vita intellettuale e politica di Rosenberg dimostra come in Germania si sia materializzata una «religione politica». E come gli esponenti più autorevoli abbiano avvertito la necessità di costruire un «paradiso terrestre» a tappe forzate. Non c'è tempo per discutere con dubbiosi, scettici, avversari veri o presunti. Vanno semplicemente eliminati. La storia deve marciare con rapidità, ad ogni costo. La missione millenaria è troppo importante per fermarsi davanti agli ostacoli.

Rosenberg in altra epoca avrebbe esercitato una professione meramente intellettuale. Giornalista, scrittore, professore. Invece divenne ideologo. Addirittura, «ideologo-capo» del nazionalsocialismo, «religione politica» guidata da presupposti razziali: riunire tutti i germani sotto la guida di un demiurgo.

Riflettendo su dodici anni di collaborazione con il Führer, un suo stretto collaboratore, Otto Dietrich, in apertura delle memorie osserva come «i tedeschi, in stragrande maggioranza, hanno creduto in un uomo, venerato come una guida provvidenziale e amato come un padre». Rosenberg avrebbe aggiunto: venerato come una divinità, risorta dalla terra sacra madre degli Dei germani.

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