Stanno per entrare nel vivo le celebrazioni per l'Unità d'Italia, una festa che si accompagna anche ad altre ricorrenze che segnano l'identità italiana. E il prossimo 4 giugno a essere celebrati saranno i cento anni del Vittoriano, uno dei momumenti simbolo della nostra storia, che ospita fino al 2 giugno la mostra «Alle radici dell'identità nazionale: Italia nazione culturale». Il grande edificio dedicato al primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II, costruito nella capitale del Regno su progetto dell'architetto Giuseppe Sacconi, fu inaugurato infatti da Vittorio Emanuele III il 4 giugno del 1911, nell'ambito delle celebrazioni per il primo mezzo secolo della nostra unità nazionale.
Una storia, quella del Vittoriano, lunga e complessa. Nel 1878 fu deciso di edificare a Roma un monumento che celebrasse Vittorio Emanuele II di Savoia, morto quell'anno. E insieme con il Padre della Patria si voleva ricordare tutta la stagione risorgimentale, i suoi tanti martiri e i suoi eroi. Noto ai romani e ai tanti visitatori come «la macchina da scrivere», l'edificio si ispirava a grandi complessi classici come l'altare di Pergamo e il tempio di Palestrina. Molti poi, sottolineano ironicamente che dalla sua sommità si gode il panorama di Roma più bello in assoluto: perché è l'unico che non contempla il monumento più brutto della città eterna.
Doveva essere, il Vittoriano, un imponente ritorno al passato che richiamasse i fasti degli antichi fori romani. E anche un luogo aperto al popolo che doveva simboleggiare la cosiddetta Terza Roma, cioè la capitale nel regno sabaudo, che succedeva alla Roma dei Cesari e a quella dei Papi. Con una teoria di allegorie che va dalle statue delle regioni italiane, le fontane che rappresentano i nostri due mari e le rappresentazioni delle virtù italiche e delle città «nobili». Nei fatti, però, il monumento acquisì il grande valore simbolico che ha ancora oggi soltanto quando accolse, al termine di una serie di cerimonie di enorme impatto emotivo, la salma del Milite ignoto, che fu tumulata nell'Altare della Patria il 4 novembre del 1921.
Frutto di numerosi espropri e di demolizioni ingenti nella zona del Campidoglio, il Vittoriano doveva essere realizzato in travertino ma fu poi costruito con il marmo di Botticino, pietra più facilmente lavorabile e soprattutto bresciana come il presidente del Consiglio, Giuseppe Zanardelli, che firmò il decreto che diede il via ai lavori. E fu completato soltanto nel 1935.
Da allora, in realtà anche da prima, continua a suscitare tra gli esperti pareri contrastanti. Opinioni diverse che si confrontano da decenni: per esempio c'è chi lo contesta in modo deciso e senza appello. È il caso dell'architetto romano Massimiliano Fuksas, che sta realizzando nella capitale la Nuvola, un innovativo centro congressi. Andando poco per il sottile lo considera «un oggetto simbolo del nulla». Ma c'è chi, come il critico Vittorio Sgarbi, lo accetta perché «la sua violenta architettura è stata metabolizzata».
«Il Vittoriano - spiega Fuksas - all'interno è vuoto. Gli spazi fruibili sono pochi e organizzati in modo complesso. Anche il museo è ricavato in un ambito difficile. Ma, oramai, fa parte del paesaggio romano e va bene così». Per Fuksas l'Altare della Patria è uno dei monumenti «meno contestualizzati che siano mai stati costruiti, specialmente a Roma. E per fare questo "gioiello" - riflette - è stato distrutto un quartiere medievale, praticamente una collina».
«Ci sono stati, negli anni, fior fiore di architetti - sottilinea - che lo hanno studiato. Bruno Zevi, ad esempio, voleva distruggerlo, un altro voleva farlo diventare una rovina. C'è stato anche un film, "Il ventre dell'architetto", che gli ha ridato un po' di smalto. Ma di fatto è abbastanza mostruoso. Bisogna dire, però, che alla fine dell'Ottocento non esisteva la grande architettura italiana. Un'arte che si riaffaccerà soltanto con il ventennio fascista».
«Negli ultimi anni - ricorda Fuksas con l'avvento di un piccolo ristorante, di un bar, con le scolaresche e qualche mostra, hanno cercato di dargli vita. In fondo, è entrato a far parte della retorica patriottica a partire dal settennato del presidente Ciampi insieme al nostro inno e alla nostra bandiera».
A difesa del Vittoriano si schiera invece il critico d'arte Vittorio Sgarbi che lo rispetta perché, spiega, «è un simbolo italiano come Sophia Loren. Un dato nazionale che esiste ed è indiscutibile. Fu sbagliato farlo allora ma non riprenderei la polemica oggi. Le discussioni che ci sono ancora sul momumento avevano un senso ai primi del Novecento ma ora non più. L'Altare della Patria non si può più buttare giù. E non si può certo ricostruire quello che c'era prima. E in più ha un grande significato scenografico».
«L'unica cosa che possiamo dire - rimarca il critico - è che la sua struttura è stata violata da un orribile ascensore: è questo l'aspetto più sgradevole del monumento.
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