«Vivo a passo di danza da sempre senza confini»

Ballerino del Royal Ballet è uno dei protagonisti del progetto «Noboundaries» di Ciesse Piumini

Francesca Amé

Oltre i pregiudizi, la passione. Oltre la normalità, la determinazione a perseguire il sogno. Oltre i luoghi comuni, i fatti. La vita di Giacomo Rovero, 21 anni, piacentino, sta tutta qui: in questo saltare, ogni volta, un po' più in là e un po' più alto. Si muove sulle punte Giacomo, professione «artist del Royal Ballet di Londra», una qualifica che pochi possono vantare. Ha il fisico scolpito da una disciplina che non ammette deroghe né sbavature e la mente vivace di chi ha scelto la danza come stile di vita per stare al mondo: non a caso quest'anno Forbes Europe lo ha selezionato tra le trenta personalità europee under 30 da tenere d'occhio nella categoria art and culture. Giacomo Rovero è il protagonista del primo capitolo di «Noboundaries», interessante progetto di comunicazione di CiessePiumini, con concpet e art direction firmati da Wundercamera. L'idea: mostrare giovani, giovanissimi talenti italiani riconosciuti nel mondo, celebri non per il solo fatto di apparire (sui social, online, in Tv) ma per ciò che di speciale fanno nel loro campo d'azione. E quello di Giacomo lo si vede anche dagli splendidi scatti in queste pagine è calcare il palco del prestigioso Royal Ballet di Londra con grazia e sapienza, energia e vigore, gioia e determinazione. La danza declinata al maschile è tutto questo: stempera la leggerezza con la perfezione del gesto atletico, ma non rinuncia a toccare il cuore. Sul palco e alla sbarra si vive «noboundaries», oltre ogni limite, e oltre ogni pregiudizio perché la danza non ha gender. In una pausa tra un allenamento e l'altro, raggiungiamo Giacomo al telefono: parla da Londra, dove ha destato scalpore la notizia che il principino George abbia scelto proprio il balletto quale disciplina ricreativa per l'anno in corso. Sulla stampa c'è stata qualche battuta di troppo e alcuni ballerini hanno danzato a Times Square con lo slogan #metutu, per ribadire ce ne fosse ancora il bisogno - che la danza è (anche) un lavoro da uomini.

Giacomo, che cosa ne pensa di questa vicenda?

«Esistono ancora stereotipi e pregiudizi sul mondo delle punte: anche se la risposta della mobilitazione in piazza è stata splendida, c'è ancora molto da fare. So di che cosa parlo».

Si riferisce alla sua infanzia?

«Vivevo a Piacenza, una piccola città: qualche battuta c'è stata. Non sono drammi, ma alcune parole ti possono segnare e se non sei più che determinato i giudizi diventano dei paletti, dei limiti. Ecco perché ho sposato subito il progetto Noboundaries: andare contro i pregiudizi e i condizionamenti è un motore indispensabile per sentirsi liberi».

Come ha scoperto la danza?

«Sono arrivato al balletto a 10 anni, relativamente tardi: fin da piccolo amavo la musica, adoravo fare piccole coreografie e già nei primi anni delle elementari facevo ginnastica artistica. Non mi bastava, però: volevo qualcosa di diverso e sono così approdato al balletto. Nessuno della mia famiglia danzava: i miei genitori amano la musica e l'arte, ma il balletto era davvero una novità per tutti»

Quando ha capito che sarebbe diventato una professione?

«Devo molto alle mie prime insegnanti di danza di Piacenza: fin da subito hanno riconosciuto il mio talento e mi hanno spinto a iscrivermi ai primi concorsi. Grazie ai loro consigli, finite le medie mi sono trasferito in Germania per approfondire gli studi di danza a livello professionale alla scuola dell'Hamburg Ballet».

Una scelta impegnativa per un ragazzino di neanche 14 anni: da solo, in collegio, all'estero.

«Sì, sono molto attaccato ai miei genitori e a mia sorella e ancora oggi ciò che mi pesa di più del mio lavoro è il distacco da loro. Sono stati bravi, in tutti questi anni: mi hanno sostenuto senza mai pressarmi. Ogni decisione è stata mia».

Dopo due anni ad Amburgo, l'audizione per la Royal Ballet School di Londra.

«È andata bene e mi sono diplomato come Most Outsanding Male Graduate della classe 2016. Dopo, mi è stata offerta la possibilità di entrare a fare parte della Compagnia del Royal Ballet: non dimenticherò mai quel giorno».

Per arrivare a risultati così sorprendenti come i suoi servono determinazione e una buona dose di sacrificio: qual è stata la rinuncia più grande di questi anni?

«Oltre alla lontananza dalla mia famiglia, direi che la mia adolescenza è stata privata della spensieratezza tipica di quell'età: un ballerino non stacca mai, la danza richiede amore incondizionato. Non mi sono potuto permettere le libertà, i divertimenti e le sregolatezze di tanti miei coetanei. È dura, ma poi sali sul palco e dimentichi tutto. C'è il rischio anche di intossicarsi, di rendere la danza troppo totalizzante: oggi cerco un nuovo equilibrio tra vita personale e carriera».

È soddisfatto di se stesso?

«Rispetto a tanti giovani che non sanno come mettere a frutto i loro talenti, persino a Londra

dove le opportunità non mancano, mi sento più che altro fortunato perché fin da bambino ho avuto chiaramente in testa la strada da conseguire. Ma ho ancora tanto lavoro da fare: il mio sogno è diventare primo ballerino».

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