Voi gliele ridurreste le tasse?

Tutti a criticare il Real per gli acquisti milionari, ma la vera follia è permettere alla Spagna di avere un vantaggio fiscale così enorme. Da Ibra a Ronaldinho, ecco quanto spendono i nostri club. E in tempi di crisi non si può chiedere al governo di privilegiare chi lo è già

Voi gliele ridurreste le tasse?
«Pazzesco». «Follia». «Così non vale». Aprendo i quotidiani sportivi (e non solo) di ieri si aveva l’impressione che ci avessero rubato la marmellata. Il Real Madrid ha comprato in una volta sola Kakà e Cristiano Ronaldo, gli ultimi due Palloni d’oro, spendendo più di 160 milioni. Un colpo da ko per il resto d’Europa, non solo per il calcio italiano, eppure sembra che lo sgarbo improvvisamente l’abbiano fatto solamente a noi. Agli orfani di quello che per anni abbiamo continuato a chiamare «il campionato più bello del mondo».

Invece di rallegrarci, per una volta, che i “ricchi scemi” di onestiana memoria siano finiti altrove, scopriamo un’ondata di indignazione perché qualcuno si è permesso di essere più ricco di noi. Come l’avrebbero presa gli stessi commentatori se a fare il colpo fossero stati Moratti o Berlusconi? Perché, quando i milioni a valanga sono usciti dai portafogli dei nostri presidenti per prendere i vari Ronaldo, Crespo, Buffon o Vieri (per non tornare ai tempi dei Gullit e dei Maradona), nessuno ha gridato allo scandalo? Nessuno è corso a piangere dal presidente dell’Uefa per porre rimedio alle ingiustizie?
Ipocrisie di un sistema che da sempre si regge sulla legge del più ricco. Il calciatore più pagato del mondo (Ibrahimovic) non gioca forse da noi? E allora, piaccia o no, inchiniamoci a un signore che ha avuto il coraggio (oltre alla possibilità) di tirar fuori tutti questi euro. Senza assurde dietrologie, come fanno persino in Spagna i rivali del Barcellona («Chissà da dove vengono tutti quei soldi?»), gli stessi che magari tra qualche giorno faranno altrettanto per accaparrarsi l’Ibra di turno. E senza ricorrere al tormentone della fiscalità, magari sperando che il governo cambi le regole per agevolare dei ragazzotti miliardari come fanno in Spagna.

Se una discrepanza c’è tra le agevolazioni fiscali spagnole e il sistema di tassazione degli altri Paesi, non è detto che la soluzione vincente sia quella di adeguare le norme tributarie dei calciatori del resto d’Europa alle “frivolezze” iberiche. Ma se domani improvvisamente scoprissimo che i poveri Ibra, Diego e Ronaldinho, soltanto perché lavoratori stranieri, pagassero (in proporzione) per i primi cinque anni in Italia meno tasse di noi, potremmo dirci contenti?

Aggrappiamoci dunque a Michel Platini, che ha promesso lotta dura contro i grandi debitori del pallone, contro quelle squadre che arrivano in finale di Champions e poi hanno centinaia di milioni da ripianare. Platini ha promesso che in futuro chi non avrà i bilanci in ordine all’inizio della stagione non potrà nemmeno iscriversi alle coppe europee. Ma ci vorrà qualche anno prima di arrivare a questo ultimatum. Nel frattempo affidiamoci al pallone che non sempre gira dalla parte dei galacticos di ogni genere.

E soprattutto se pensiamo che il nostro calcio sia morto perché i campioni vanno altrove, guardiamoci attorno e scopriremo che in Europa non siamo soli. Anzi, c’è chi sta peggio di noi. La differenza è che non vivono di solo pallone.

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