«Volevamo mettere un freno ma la sinistra ci boicottava»

da Milano

Senatore Castelli, conosce Henry John Woodcock?
«L’ho seguito quando ero ministro».
Una definizione?
«Un magistrato un po’ entusiasta. Che si butta a capofitto nelle sue cose».
Ironizza?
«No».
Lei nel 2004 aveva avviato l’azione disciplinare sul Pm lucano.
«Tutto sommato, routine. Poi, come al solito, il Csm l’ha assolto da ogni addebito».
Oggi?
Roberto Castelli allarga le braccia: «Non sono più il Guardasigilli, ma il Presidente dei senatori della Lega».
Avrà letto i giornali.
«E sono rimasto disgustato. Le persone, anche quelle che non sono state arrestate o indagate, vengono date in pasto all’opinione pubblica. Si raccontano i loro gusti, le loro inclinazioni, si riportano volgarità e allusioni oscene. Sui quotidiani trovo nomi e cognomi di ragazze ritenute intraprendenti; e poi leggo le parole sgradevoli che Vittorio Emanuele avrebbe detto della Sgrena. In questo modo il Savoia viene sputtanato. Innocente o colpevole che sia. E questo non è giusto. Come non è giusto leggere il dialogo fra un arbitro e un dirigente del Milan a proposito di un trapianto di capelli».
Vorrebbe censurare i giornali?
«Ma no, non mi faccia la solita tiritera sulla libertà di stampa. Non è questo il punto».
E qual è allora?
«Ci vuole un po’ di rispetto. E guardi che questi discorsi li facciamo da dieci anni. Ricordo le polemiche furibonde quando finì in pagina la figlia di Lorenzo Necci. Credo fosse il ’96».
Come fare un passo in avanti?
«Meno di un anno fa la Casa delle libertà aveva proposto un disegno di legge. Allora tutti parlavano dei furbetti del quartierino, di Ricucci, della Falchi. Poi è arrivato il calcio, ora il principe. La sostanza non cambia».
Di quel disegno di legge non si è saputo più nulla.
«È rimasto lettera morta. La Casa delle libertà non aveva la forza di mandarlo avanti. I giornalisti strepitavano, i pasdaran della sinistra già affermavano che quell’atto era stato pensato per proteggere gli amici degli amici. Così il disegno di legge del Governo è stato affondato subito, ma il problema rimane».
Come affrontarlo?
«Le intercettazioni sono cresciute in modo spropositato. Fra il 2001 e il 2006 i bersagli sono passati da meno di 25mila a centomila l’anno. E poiché i bersagli, cioè i telefonini, non parlano da soli ma con altri cellulari o numeri fissi, ho fatto due conti e sono arrivato a una conclusione sconvolgente».
Quale?
«In Italia si ascoltano annualmente le conversazioni di un milione e mezzo di persone. Agghiacciante. Il tutto con una spesa di 350 milioni di euro. Altro dato impressionante».
D’accordo, ma come intervenire?
«Io vedo tre priorità».
La prima?
«Ridurre i costi».
La seconda?
«Circoscrivere i bersagli. Attenzione: io sono favorevole alle intercettazioni, ma solo per i reati più gravi. E per un tempo definito».
Il terzo punto?
«Il più incandescente: evitare di fare a pezzi le persone sui giornali.

I processi vanno celebrati in tribunale, il resto è spazzatura».
Si farà la nuova legge sulle intercettazioni?
«Adesso che la sinistra è al potere, forse sì. Infatti il tema è già stato sollevato alla Commissione giustizia del Senato».

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