Pechino - Come in cortile quando giocavano da ragazzine. C’erano quelle più forti e c’erano quelle che meglio lasciar perdere. Ecco, al Gymnasium di Pechino, ieri notte, meglio lasciar perdere. Le azzurre che dovevano spaccare il mondo sono state accompagnate in malo modo alla porta olimpica dalla squadra americana che le ha fatte a stelle e strisce. Tre a due dice il finale, ma non dice del parziale di 8 a 0 subìto a inizio del quarto set e del 5 a 0 nel tie break. Questo per sottolineare che le nostre figliole sono state prese a pallonate. Ascoltare per credere Eleonora Lo Bianco, che un attimo dopo il gong finale si è alzata da terra con le compagne, ha scosso la testa come un pugile tramortito e ha detto: «La verità è che ci hanno preso a pallate... A un certo punto abbiamo semplicemente smesso di giocare... È stato incredibile. Ci sono stati errori incomprensibili, loro sono andate avanti anche di nove punti, non si può, non possiamo giocare così, no, no, non abbiamo sottovalutato le americane è solo una questione mentale: abbiamo smesso di usare la testa». La capitana con lo sguardo di una donna che ha appena litigato con il fidanzato, ma litigato di brutto, ha poi preso la via degli spogliatoi dove poter urlare e piangere in compagnia delle altre disperate.
Diciamolo subito: l’unica attenuante dello squadrone del volley in rosa è la vicenda Aguero, il dramma di questa ragazza durante l’agonia della povera madre a Cuba. Ma una sacrosanta ed enorme attenuante solo per lei. Perché quanto al resto, coach Massimo Barbolini era comunque riuscito a tenere quieto e concentrato il gruppo. E dopo gli Europei, dopo la coppa del mondo, il sigillo più importante, quello sempre sfuggito, l’unico che mancava pareva finalmente alla portata. Ne erano convinti un po’ tutti nell’ambiente del volley rosa.
E invece no, la maledizione della porta aperta e del via, sciò, tornatevene a casa si ripete ancora ai quarti, di nuovo ai Giochi. «Non chiamatela maledizione, in fondo è la seconda volta che andiamo così avanti alle Olimpiadi, era successo ad Atene» si difende e difende le sue donne Barbolini. Stravaccato su una sedia come dopo una maratona di New York, il presidente federale Carlo Magri pare sfinito: «Fai bene due anni, vinci tutto e poi sbagli l’obiettivo più importante... Diventa un errore che vale doppio, credevo veramente nella semifinale».
Vale doppio e triplo e quadruplo a giudicare dalla disperazione delle fanciulle. La Piccinini passa senza parlare e così la Gioli, la Barazza; oltre alla Lo Bianco, in quanto capitana, solo Martina Guiggi sussurra qualcosa, «la luce si è spenta». Intanto, la coraggiosa Cardullo si ferma davanti al plotone d’esecuzione: «Avevamo la partita in mano e loro hanno reagito alla grande a livello di testa, noi siamo andate nel pallone e ci è mancata la reazione che in quei casi bisogna avere. Siamo proprio andate fuori di testa, lo capivamo anche guardando le nostre facce in campo». Seppur calmo, seppur elegante, coach Barbolini un filo s’incacchia, perché sa che da anni non perdevano con gli Usa e perché la tesi difensiva delle figliole non lo aggrada: «Che cos’è successo? Me lo sono chiesto anche io... Però basta con la scusa del problema mentale o di testa, troppo facile nascondersi dietro questo. Abbiamo perso per questioni tecniche, ci sono stati errori, anche in ricezione.
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