«Volponi veniva spesso in via Poma»

Questa volta, almeno, sul banco dei testimoni c’è salito. Anche se solo il tempo necessario al suo avvocato a convincere i giudici che non era nelle condizioni di sostenere un interrogatorio che già si annuncia serrato. Per la terza volta, così, Salvatore Volponi, in aula con occhiali scuri e passo incerto, ha evitato ieri di rispondere alla Corte d’Assise che sta processando Raniero Busco per il delitto di Simonetta Cesaroni. E non sono poche le domande che le parti vorrebbero rivolgere all’ex datore di lavoro della ragazza uccisa in via Poma nell’agosto del 1990. Anzi, ogni udienza, gli interrogativi su Volponi si moltiplicano e si fanno sempre più pressanti.
Ieri, a tirarlo in ballo ancora una volta, smentendo quanto da lui sempre sostenuto, ci ha pensato Giuseppa De Luca, vedova del portiere dello stabile Pietrino Vanacore: «Volponi veniva spesso in via Poma. La sera dell’omicidio venne da me per farsi dare le chiavi dell’ufficio degli Ostelli e mi disse: “Signora, si ricorda di me?”. Io l’ho riconosciuto. Quando in quell’ufficio si facevano riunioni lui c’era sempre». Peccato che l’uomo abbia sempre negato di conoscere quell’indirizzo e prima che venisse scoperto il cadavere di Simonetta diede a Paola Cesaroni, che si era rivolta a lui per aver notizie del luogo di lavoro della sorella, l’impressione di voler perdere tempo prezioso contattando tra l’altro il socio Ermanno Bizzocchi, in vacanza, per farsi dire che gli Ostelli erano in via Poma. La moglie del portiere ricorda male o Volponi mente? E, in tal caso, per coprire chi? L’udienza per rispondere a queste e ad altre domande è stata fissata il 19 luglio. Quel giorno Volponi dovrà deporre o presentare congrua documentazione medica. In caso contrario verrà disposta una perizia per valutare le sue condizioni di salute. A caricare di sospetti la figura dell’ex datore di lavoro della vittima è stato anche il figlio del portiere, Mario Vanacore. «Quando Volponi si accorse del cadavere - racconta in aula - disse, uscendo, “oddio...bastardo”, ma non so a chi si riferisse. Ricordo anche che lui, per farsi dare le chiavi da mia madre, le fece notare che era stato in quegli uffici tante altre volte». La signora Vanacore ha anche escluso che il marito abbia visto il corpo della vittima prima dell’arrivo della sorella, aggiungendo di non aver mai visto la Cesaroni. Una circostanza curiosa, visto che la portineria era aperta dalle 15 alle 20 e che in quell’estate Simonetta era stata negli uffici degli Ostelli decine di volte. Confermata anche la circostanza raccontata nell’agosto del ’90 alla poliiza: «Quel giorno ho notato allontanarsi da via Poma un uomo biondo con una busta nera, non l’ho visto in faccia, ma non era giovane».
Il resto dell’udienza è stata dedicata all’imputato. Ha deposto sua madre, Giuseppina Busco, raccontando di come il figlio «è sempre stato bravo e calmo». Affermazione subito contraddetta dal pm Ilaria Calò, che ha voluto ricordare come nel 2000 Busco sia stato denunciato due volte per lesioni dopo due litigi con alcuni vicini e con la cognata. Il magistrato ha poi chiesto alla Corte la trasmissione degli atti per procedere per falsa testimonianza contro le due amiche della signora Busco che hanno confermato l’alibi del figlio.

«Un’udienza carica di risposte incomplete», per l’avvocato di parte civile Lucio Molinaro: «Volponi ci deve dire chi è il “bastardo” a cui si riferiva». Per il legale dell’imputato, Paolo Loria, «certo non si riferiva a Busco, che con Volponi non si conosceva».

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