"Voto in Michigan, la vera trappola per i Repubblicani"

L'analisi della politologa Victoria Mantzopoulos, della Mercy University di Detroit: "Anche i democratici partecipano alle primarie, per favorire Obama. Campagna lunga? Meno chance di vincere"

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Detroit - A fine febbraio i candidati presidenziali per la corsa finale alla Casa Bianca sono solitamente già decisi. Quest’anno non è così. Anche dopo i risultati dei voti delle primarie del Michigan e dell’Arizona, la nomination dei repubblicani resta tutt’altro che certa. Gli ultimi sondaggi nazionali davano l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney e l’ex Senatore della Pennsylvania, Rick Santorum, in uno stretto testa a testa con un differenziale mai superiore al 3 per cento. C’era una situazione simile in Michigan, dove addirittura secondo il sondaggio più recente, quello del Ppp polling, Santorum era dato davanti a Romney.

«Dopo questo voto? Ci si può aspettare di tutto - spiega in una conversazione con il Giornale Victoria Mantzopoulos, politologa presso la Mercy University di Detroit -. Il Michigan può essere poi una trappola per il Gop perché a differenza degli altri stati ha un sistema di “primarie aperte”. Questo significa che non bisogna essere registrati con un partito per poter votare e di conseguenza anche i democratici possono andare alle urne. Non a caso è proprio qui che è nato il termine “Reagan democrat”, per indicare quei democratici che decidono di votare anche per scegliere il candidato dell’opposizione».

Gli sfidanti dal canto loro non hanno perso tempo per sfruttare l’occasione. Lunedì Rick Santorum ha spronato i suoi fedeli a convincere quanti più democratici possibili a votarlo. «Non mi sorprenderebbe se funzionasse - continua Mantzopoulos -. Molti potrebbero decidere votare Santorum perché lo reputato un avversario più facile per Obama». La reazione di Romney è stata immediata: ha definito la strategia «uno sporco trucco». L’apprensione intorno all’ex governatore è infatti alta. Il Michigan è lo Stato dove è nato, dove suo padre fu governatore per ben due volte e per di più un alto dirigente dell’industria automobilistica; è lo Stato dove la sua famiglia ha radici, il suo nome è conosciuto ed è dove vinse nel 2008 contro l’allora candidato John McCain. Qui non aver vinto alla grande si può tradurre in un duro colpo alla campagna dell’ex governatore soprattutto in vista del Super Tuesday, giorno in cui 10 Stati vanno a votare contemporaneamente e sono in palio 419 dei 1144 delegati repubblicani.

Tra i candidati rimane scottante anche la questione degli aiuti del governo ai «big three» dell’industria automobilistica - Chrysler, Ford e General Motors - a cui Romney, come del resto Santorum, rimane contrario. Nel 2008 in un editoriale sul New York Times, l’ex governatore titolò: «Lasciate che Detroit vada in bancarotta», parole che oggi pesano sul risultato elettorale in uno Stato dove la grande maggioranza dell’economia dipende dai tre giganti dell’automobile.

Nel tentativo si divincolarsi dalle critiche i due front runner continuano a scannarsi in un botta e risposta di accuse di reciproca ipocrisia che indirettamente favorisce la lenta ascesa di Obama.

«C’è un detto sulla corsa alla nomination - conclude Mantzopoulos -. Più è lunga, minori sono le possibilità che alla fine il candidato scelto vinca la Casa Bianca. Nel 2008 a questo punto la nomination era già decisa. Oggi una conclusione sembra quanto mai lontana».

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