Lo zampino iraniano nell’attacco agli italiani

Il capitano della brigata Ariete colpito nell’attacco agli italiani a Herat, lunedì mattina, sta combattendo fra la vita e la morte. Altri quattro soldati del nostro contingente sono rimasti feriti. Il tributo più pesante lo hanno pagato gli afghani con 5 vittime e 32 feriti, in gran parte civili. Il responsabile della mattanza sarebbe Samihullah, un comandante talebano con la faccia da ragazzino, amico di Al Qaida e dell’Iran. Lo rivela The Long War Journal, un sito sul conflitto in Afghanistan e la crisi pachistana con ottime fonti alla Cia e al Pentagono.
Il comandante Samiullah si è fatto le ossa come luogotenente del famoso Ghulam Yahya Akbari il cosiddetto «talebano tajiko», perché faceva parte di un’etnia solitamente ostile ai tagliagole di mullah Omar. Akbari, ex sindaco di Herat e alleato del presidente afghano Hamid Karzai, è stato ucciso nell’ottobre 2009. All’operazione mirata avevano partecipato i corpi speciali italiani. Samihullah era l’ufficiale di collegamento di Akbari con i volontari arabi della guerra santa, che fanno parte dell’Armata nell’ombra, la costola di Al Qaida in Afghanistan. Prima di imbracciare le armi ha studiato arabo nella facoltà universitaria di Herat, dove si trova il quartier generale italiano.
Barbetta curata, faccia da bravo ragazzo si è fatto intervistare da Al Jazeera, attorniato dai combattenti mascherati, nell'Afghanistan occidentale dove operano oltre 4mila soldati italiani. Secondo informazioni di intelligence, il nuovo comandante dei «mujaheddin di Herat» ha contatti con il corpo Ansar, l’unità dei Guardiani della rivoluzione iraniana specializzato in operazioni all’estero. La regione Ovest dell’Afghanistan, sotto comando italiano, confina con l’Iran. Dalla repubblica islamica, con o senza l’avallo delle autorità, transitano da tempo carichi di armi, manovalanza per i talebani e qualche leader degli estremisti che combattono contro la coalizione internazionale.
Il primo attacco spettacolare a Herat, firmato da Samiullah, è avvenuto il 23 ottobre 2010. La sede delle Nazioni Unite nel capoluogo occidentale era stata attaccata da un commando suicida, che era riuscito a penetrare nel compound ingaggiando una battaglia fino alla morte con le forze di sicurezza afghane ed i rinforzi italiani.
Lunedì mattina i mujaheddin di Samiullah hanno sferrato un attacco ancora più in grande stile, come ha spiegato ieri alla Camera il ministro della Difesa Ignazio La Russa. I talebani hanno fatto esplodere una motobomba e altri quattro attentatori sono entrati in azione in diversi punti della città per attirare le forze di sicurezza su più fronti. Poi è scattato l’assalto vero e proprio al Prt, il Centro di ricostruzione provinciale di Herat, difeso dagli uomini del 132° reggimento di artiglieria della brigata Ariete. «Un piccolo autocarro carico di cemento si è presentato all’accesso principale di Campo Vianini - ha spiegato La Russa -. Un’altra azione diversiva condotta da due motociclisti ha distratto il personale di vigilanza afghano consentendo all’automezzo di riprendere il movimento lungo la serpentina d'ingresso per tentare di sfondare il portone principale del compound. Il camioncino è andato a sbattere, esplodendo, contro il muro esterno della base».
Il ministro ha confermato che il commando suicida voleva penetrare nella base per compiere una strage, ma non c'è riuscito. Almeno 4 assalitori si sono rifugiati in una palazzina vicina aprendo il fuoco su italiani e afghani.
A malincuore La Russa ha dovuto ammettere che il più grave dei feriti italiani «non può essere considerato fuori pericolo, anzi, le sue condizioni destano molte preoccupazioni». Si tratta del capitano Gennaro Masino, 30 anni, di Paterno in provincia di Potenza, in forza al 132° reggimento di stanza a Maniago del Friuli.
I talebani hanno colpito Herat perché sarà una delle prime zone a passare sotto il controllo della sicurezza afghana a luglio, in vista del graduale ritiro previsto per il 2014.

La Russa è stato chiaro: «Non vi nascondo che i pericoli non diminuiranno con l’avvicinarsi dell’obiettivo (la transizione per stabilizzare il paese nda). Anzi, è prevedibile che vi sia sempre il tentativo di colpi di coda quanto più dolorosi possibili».
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