Zappare la terra prima di parlare

(...) Ma il punto non è questo. È accaduto, infatti, che nelle settimane successive mi scoprissi interessato come non mai alla sorte di quelle pianticelle che giorno dopo giorno venivano su, nel campo sotto la stradina comunale. Un po' come se fossero creature mie, e non vedevo l'ora di potermele mangiare fritte, oppure dentro la pasta al pesto. Poi è anche accaduto, e qui vengo al dunque, l'irreparabile. E cioè che una mattina, di tutto quell'ordinatissimo schieramento vegetale che fino alla sera prima faceva bella mostra di sé, non restasse che una Caporetto di buche e piante estirpate e buttate qui e là. Nessuna sorpresa: c'era da aspettarselo che si materializzasse l'incubo di tutti coloro che ogni anno in paese mettono mano alla vanga. Sì, insomma, il solito, temutissimo raid di cinghiali, così ghiotti di tuberi. E qui vorrei mettermi nei panni non dei contadini per caso, che a conti fatti se la cavano con un'arrabbiatura e un magone grosso così, ma di quei pochi coltivatori diretti ancora attivi qui sull'Appennino ligure. Gli unici che, col loro lavoro che non è certo un passatempo di lusso, si sforzano ancora di tenere in ordine un territorio di montagna che, altrimenti, sarebbe del tutto abbandonato a se stesso. Ne conosco un po', e parlando con uno di loro gli ho sentito dire che questa potrebbe essere l'ultima volta che semina patate: se i cinghiali gliele stragiano ancora, basta. Qui si parla di campi di estensioni importanti, mica dell'orticello dietro casa: e chi glielo fa fare? Lo stesso discorso lo faceva negli anni '70 con il grano. Dunque i cinghiali sono i cattivi, gli affamatori del popolo? Non è proprio così. Il problema è che sono tanti, troppi. Proprio come i famosissimi caprioli di Acqui Terme, per intenderci. Non hanno da mangiare e per disperazione si spingono a cercarne sempre più vicino ai centri abitati. Ecco spiegate le stragi di piccoli orti e campicelli, inedite fino a un decennio fa. Però poi in televisione spunta fuori un esercito di animalisti più o meno occasionali che scopre l'esistenza della caccia selettiva e sentenzia che si tratta di un barbaro assassinio, senza se e senza ma. Ci mancherebbe, loro si riferiscono ai teneri caprioli che ricordano tanto Bambi. Quelli sono più discreti: si limitano ad impedire la ricrescita degli alberi divorandone i germogli. Certo, può anche darsi che sui brutti e sporchi cinghiali gli animalisti da spiaggia non transigano.

Ma su di loro, e sulla loro reale conoscenza dei problemi legati alla fauna selvatica, i dubbi rimangono numerosi. Chissà: magari, una volta tanto l'abusatissimo invito «ma andate a zappare la terra» potrebbe avere un senso compiuto.

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