"Trucchi e azioni spericolate: così hanno spolpato la banca"

La ricostruzione della Guardia di Finanza: Mps comprò Antonveneta "a scatola chiusa" e non fece controlli preventivi. Ecco l'inganno che ha svuotato le casse della Fondazione

"Trucchi e azioni spericolate: così hanno spolpato la banca"

Per completezza di informazione si precisa che, con riferimento alla posizione del Dott. Marco Morelli all'interno della vicenda giudiziaria cui fa riferimento l'articolo, in data 13 dicembre 2013 il competente Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero, ha disposto l'archiviazione delle indagini a carico del medesimo.

La prima vera «sorpresa» dell'affaire Mps arriva quando Antonveneta è ancora nel gruppo olandese Abn Amro, prossimo a essere scalato da una cordata di banche come Santander, Royal Bank of Scotland e Fortis. «L'operazione - scrive la Gdf - inizia a delinearsi come possibile a fine agosto 2007, quando personale della società di consulenza Rothschild avrebbe contattato Mussari (presidente Mps) paventandogli la possibilità di acquistare il gruppo bancario italiano».

BOTIN «ORDINA» E MUSSARI: «OK»

Le cose si fanno più concrete quando Alessandro Daffina, advisor di Rothschild, il 29 ottobre spedisce via e-mail a Mussari «una bozza di lettera da inviare al presidente del Santander per comunicarvi l'interesse di Mps ad acquistare Antonveneta». Una bozza pronta all'uso, da firmare e inoltrare: «Caro presidente, alla fine di agosto sono stato contattato da Rothschild che mi ha ipotizzato la possibilità che Santander possa dismettere Antonveneta (…) volevo comunicarle che questa opportunità avrebbe un'importanza straordinaria per Mps e che pertanto godremmo del pieno supporto dei nostri azionisti (…)». Gli inquirenti a quel punto interrogano Daffina (9 marzo 2012) e l'advisor conferma di aver ricevuto ad agosto 2007 dal boss di Santander Emilio Botin «un mandato esplorativo per verificare l'esistenza di eventuali soggetti bancari interessati» ad Antonveneta. E Botin ha due premure. La prima è vendere «senza dover necessariamente attendere il materiale passaggio della banca italiana da Abn Amro a Santander» – quindi vendere prima di comprare. La seconda è una «condizione non negoziabile» che impone ai potenziali acquirenti: «Rilevare Antonveneta senza alcuna due diligence preventiva». Daffina contatta cinque banche, ma alla fine, a ottobre 2007, le offerte sono due: «Bnp presentò un'offerta di circa 7 miliardi, Interbanca esclusa. Mussari e Vigni presentarono verbalmente una proposta di circa 8 miliardi di euro».

NO INTERBANCA, NO DUE DILIGENCE

Botin, racconta Daffina ai pm, preferiva la banca francese, «più affidabile». Ma il 7 novembre «Botin gli riferì di essersi accordato con Mussari che aveva accettato tutte le condizioni in ordine al corrispettivo richiesto – elevato a 9 miliardi di euro – e all'impossibilità di effettuare una due diligence preventiva». E ancora: «Mussari chiese a Botin in tutte le fasi dell'accordo di poterla effettuare (la due diligence, ndr) senza, tuttavia, mai riuscire a ottenerla».

L'ESULTANZA DEL VENDITORE

Il deal è siglato. E Botin in un comunicato spiega di aver accettato l'offerta di 9 miliardi (senza cedere Interbanca), «importo significativamente superiore alla valutazione di 6,6 miliardi (compresa Interbanca, ndr) effettuata per Antonveneta con l'acquisizione di Abn Amro». Quel comunicato suggerisce chi abbia fatto l'affare, tanto che gli inquirenti annotano come Benessia, già advisor di Mps, «evidenzia a Rizzi (area legale Mps, indagato) con accento critico come il comunicato sia “una celebrazione del deal per Santander“...». Mps compra a scatola chiusa.

VISTO E PIACIUTO

L'articolo 9 dell'accordo ha un titolo significativo, «assenza di garanzie», e chiarisce che Mps «acquisisce le azioni sulla base del principio “visto e piaciuto” sotto tutti i profili». Tanto che il giorno dopo Benessia segnala a Rizzi «un'agenzia dove Ubs pone l'accento sull'assenza di una due diligence». E «il mercato reagisce negativamente alla notizia dell'accordo - annota la Gdf – penalizzando il prezzo dell'azione Mps», che nella prima seduta dopo il deal «registra una perdita del 10,5%». Da lì in poi andrà sempre peggio.

LA CACCIA AI FONDI

Da subito «emerge (…) che gli azionisti stabili, a cominciare dalla Fondazione, avrebbero avuto una parte attiva nel finanziare Antonveneta». Una circolare evidenzia la pessima accoglienza delle agenzie di rating. Con la presentazione del piano di finanziamento esplode il problema dei bond «fresh», che in una mail spedita da Merrill Lynch a Marco Morelli (all'epoca responsabile dell'operazione di finanziamento, poi direttore finanziario, anche lui indagato) si ipotizza «che Fondazione Mps sottoscriva fino al 50% circa dell'emissione». Viene scelto, inoltre, di organizzare l'emissione in «modo usufrutto», una modalità «diversa da quella illustrata alla Bankitalia», rimarca la Finanza. A marzo 2008, Marco Parlangeli della Fondazione Mps manda a Rizzi la delibera con cui il braccio politico della banca «al fine di evitare diluizioni della quota detenuta (...) avrebbe partecipato all'aumento di capitale (...) nonché sottoscritto per un valore di 490 milioni di euro gli strumenti convertibili emessi indirettamente da Bmps».

I FRESH SEGRETI

Il comunicato su quella delibera, si legge nell'informativa, «era stato fatto omettendo qualsiasi riferimento alla sottoscrizione degli strumenti innovativi di capitale (fresh) (...) che saranno poi effettivamente stipulati il successivo 14 aprile». A spiegare ai baschi verdi le conseguenze di quell'indebitamento della Fondazione è Luca Jelmini, «funzionario Rothschild attualmente impegnato in Fondazione Mps nell'attività di ribilanciamento e ristrutturazione del debito». Ai pm Jelmini dice: «Si tratta di finanziamenti ricevuti dalla Fondazione per 490 milioni di euro, a fronte dei quali paga un flusso finanziario calcolato sul valore nominale, cioè i 490 milioni, e ricevendo dalle controparti un flusso finanziario determinato sul valore di mercato del Fresh sottostante che, allo stato, è pari al 23 per cento del valore nominale, circa 115 milioni di euro». Un vero affare. E alla scadenza - insiste Jelmini - la Fondazione, qualora dovesse optare per la consegna fisica dei titoli Fresh, dovrà pagare alle due controparti finanziatrici il valore di 490 milioni di euro, indipendentemente dal valore di mercato del Fresh che, come riferito, presenta (a marzo 2012, ndr) una perdita del 77%»: 375 milioni di euro già bruciati.

UNA «INDEMNITY» DA PIRATI

Anche l'esistenza di una «letter of indemnity» a favore di JpMorgan e Bank of New York – occultata a Bankitalia nel settembre 2008 – sfocia nell'accusa di ostacolo alla vigilanza. Ne parla il responsabile tesoreria di Mps Massimo Molinari in una mail a Rizzi, che si opponeva a rilasciare la lettera di garanzia, spiegandogli di essere stato costretto a farlo, perché altrimenti Bny non avrebbe cominciato l'assemblea degli obbligazionisti del Fresh, mandando tutto a monte. Per Molinari «tenere in ostaggio un'assemblea» è «un comportamento da pirati e non da professionisti», ma aver concesso quella copertura per lui è «il male minore», e «non peggiora troppo la situazione di un'operazione» sfociata in guai giuridici serissimi.

L'AUTOGOL CHIUDE LA PARTITA

Il 12 marzo scorso il presidente della Fondazione Mancini «trasmette alla Consob quanto richiesto in ordine alla complessiva situazione debitoria». E raccontando i dettagli dell'acquisto di Antonveneta, scrive: «Banca Mps ha curato l'emissione di titoli fresh emessi da Bny». Gli inquirenti strabuzzano gli occhi.

E annotano la candida ammissione della Fondazione di un coinvolgimento diretto della Banca nell'emissione del Fresh, a differenza di quanto dichiarato dalla stessa Banca a Bankitalia nell'ottobre 2008: «JpMorgan ha poi a sua volta trasferito tale rischio ai portatori degli strumenti finanziari convertibili emessi da Bank of New York, con un'operazione alla quale la banca è estranea». Le bugie di Mps Banca sbugiardate da Mps Fondazione. Tragicamente sublime.

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