’Ndrangheta, caccia alla tangente da 220mila euro

Ci sono personaggi che tornano. Ci sono piste che si accavallano. L’ultimo colpo inferto alla ’ndrangheta è solo un tassello di un mosaico più vasto a cui stanno lavorando gli inquirenti. Perché l’operazione dei carabinieri e della Dia che ha portato in carcere 300 affiliati alla mafia calabrese si intreccia con altre indagini. Fascicoli in mano alla Procura di Monza e ai finanzieri del Gico, e che hanno molto a che fare con l’inchiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini. In quelle carte, infatti, compaiono i nomi dei fratelli Ignazio e Natale Marrone, e di Pio Candeloro, arrestati nel maxi-blitz di martedì. Ma già nel mirino dei magistrati monzesi per un’altra vicenda. Un finanziamento sospetto, che ai Pm sa molto di tangente. L’ipotesi investigativa è che 220mila euro siano stati pagati - e in contanti - dai fratelli Marrone a un politico della Regione per un’operazione immobiliare. Così, ieri, la Boccassini ha incontrato gli 007 delle Fiamme gialle per fare il punto sugli sviluppi di quell’indagine, anche alla luce degli ultimi arresti.
La vicenda, secondo quanto risulta dalle carte, si consuma a Desio. Dove Candeloro - secondo l’ordinanza firmata dal gip Andrea Ghinetti - è il capo società della ’ndrina locale. Lì, scrive il gip, «partecipa direttamente alla commissione dei reati e gestisce gran parte delle attività criminali della cosca». È un tipo fumantino, Candeloro. È un capo. Sopra di lui in zona c’è solo Giuseppe Moscato. Candeloro opera per conto della cosca dei Iamonte di Melito Porto Salvo, e detta la linea del gruppo criminale. Anche in campo economico. «A lui - scrive ancora il giudice - si rivolgono anche settori della vita civile che hanno bisogno di intimidire eventuali avversari personali». Come un altro Marrone, cugino dei fratelli Ignazio e Natale, eletto al Comune di Desio nell’aprile scorso con oltre 400 preferenze. È lui a chiedere a Candeloro «un’azione violenta nei confronti di Rosario Perri», già presidente del parco delle Groane e all’epoca capo area tecnica del settore edilizia privata nel municipio brianzolo. Candeloro rifiuta. E rifiuta perché Perri «è appoggiato da persone di rispetto». Il calabrese, però, fiuta anche l’affare Expo, e per questo avvicina imprenditori «puliti» dietro i quali intende operare.
Sempre a Desio, vivono e lavorano i fratelli Marrone. Pregiudicati siciliani, sono titolari di una ditta di autodemolizione e hanno contatti con esponenti di spicco della criminalità siciliana e calabrese. La loro, secondo gli investigatori, è un’attività di facciata. In realtà, i Marrone dispongono di grande liquidità, frutto di attività tutt’altro che legali. E così «investono». In particolare, uno di quegli investimenti è finito sotto la lente dei magistrati.


Si tratta di 220mila euro in contanti dati - secondo gli investigatori - al politico del Pirellone e che sarebbero serviti per la costruzione di una palazzina. Per gli inquirenti, si tratterebbe di uno scambio di favori. Da un lato, attività imprenditoriali garantite. Dall’altro, benefici economici e - ancora una volta - sostegno elettorale e politico.

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