Neanche un mese fa un esperto di Consulta (anche perché ne ha fatto parte) e grande consigliere del presidente emerito Giorgio Napolitano, Sabino Cassese, dava l'Italicum già per morto. In un corridoio del meeting di Rimini confidava ad un senatore di Forza Italia la sua sentenza lapidaria: «Non è assolutamente pensabile che la Corte Costituzionale possa accettare un premio di maggioranza così esagerato...». Cassese gettava lì un segnale che in realtà rappresentava il pensiero di King George, che anche dopo aver traslocato dal Quirinale non ha messo da parte il suo desiderio di protagonismo.
Un mese dopo, puntuale, è arrivato infatti con un'intervista a La Repubblica il siluro del Presidente emerito alla legge elettorale voluta fortissimamente da Renzi. Nel frattempo, però, il grande alchimista della politica italiana non è stato fermo. Anzi, il gran maestro della moral suasion, ha fatto sapere a molti giudici della Corte (li conosce tutti e in buona parte li ha nominati lui stesso) il suo pensiero sull'argomento: dato che c'è «una guerra» sul referendum, le polemiche andrebbero sterilizzate e il togliere di mezzo l'Italicum dalla campagna referendaria sarebbe un modo per abbassare i toni dello scontro, privando il fronte del «No» di un argomento efficace. Per dirla in sintesi: liquidato l'Italicum nessuno - secondo il Nap - potrebbe parlare più di svolta autoritaria. Naturalmente un'operazione del genere difficilmente potrebbe metterla in atto Renzi: intanto perché dovrebbe rimangiarsi un voto di fiducia sull'Italicum che lo farebbe passare alle cronache nel migliore dei casi come uno sprovveduto, nel peggiore come un incapace. Senza contare che nessuno si fiderebbe della sua parola e non c'è tempo per approvare una nuova legge elettorale prima del referendum. L'opzione migliore, quindi, per il grande alchimista, tirerebbe in ballo direttamente la Consulta, che potrebbe bocciare l'Italicum nelle sue parti salienti, a cominciare dal ballottaggio. A quel punto la questione sarebbe azzerata, Renzi farebbe una figuraccia (ma al Nap importa poco), il Pd si potrebbe ricompattare su una nuova legge elettorale e il «Sì» potrebbe risalire nei sondaggi (quelli post-estivi danno tutti il «No» vincente: la Ghisleri 51 a 49%, Mannheimer 53 a 47). Ma, soprattutto, il presidente emerito non correrebbe il rischio di perdere la faccia, perché una sconfitta nel referendum sarebbe la sua sconfitta, visto che lo stesso Renzi non si stanca di ripetere che queste sono le riforme di Giorgio Napolitano.
Dei movimenti del grande alchimista sono giunti echi anche nel Palazzo. Ieri, alla ripresa, ne parlavano, soprattutto, gli esponenti dell'area centrista della maggioranza rimasti sotto l'ala protettrice di Renzi, che verrebbero spazzati via dalla vittoria del «No». «Vedrete - assicurava il senatore Salvo Torrisi, ancora con Alfano - che alla fine la Consulta ci farà il lavoro sporco, ci toglierà di mezzo l'Italicum. E noi dopo introdurremo il Provincellum». «Ormai - sostiene Riccardo Mazzoni, uomo ombra di Denis Verdini - quella legge è morta. Nella nuova ci saranno grosse iniezioni di proporzionale. Verrà fuori una legge simile a quella tedesca». E la moral suasion del presidente emerito alchimista non dispiace poi tanto neppure alla minoranza del Pd. «Certo Renzi prenderebbe una musata - osserva Federico Fornaro - visto che sull'Italicum ha preteso un voto di fiducia. Ma intanto la Consulta toglierebbe le castagne dal fuoco a noi e a Napolitano: lui dopo 9 anni di Quirinale non può permettersi una sconfitta sul referendum».
Appunto, ogni giorno che passa aggiunge nuovi argomenti e nuovi significati alla battaglia del «No». Se addirittura dopo le merchant bank americane, anche l'ambasciatore Usa (fatto inedito) si schiera per il «Sì», compiendo un'ingerenza negli affari interni di un Paese alleato, si capisce che la posta in gioco è davvero alta. C'è chi con quel «No» potrebbe mettere sotto accusa un'intera classe dirigente, l'establishment che ha guidato il Paese negli ultimi anni, dal 2011 ad oggi. E chi, invece, con il «No» stigmatizzerebbe un rapporto troppo subordinato con la Ue. Tant'è che qualcuno già paragona il referendum ad una nuova Brexit. In fondo tutti i protagonisti che hanno avuto ruoli ai vertici dello Stato in questi anni si sono schierati per il «Sì», da Monti, a Renzi al Nap. E visto che il rischio di perdere è sempre più alto, è cominciato il gioco - spietato - dello scaricabarile. Il Nap non ci ha pensato due volte a gettare a mare l'Italicum (e il premier che lo ha inventato). Renzi si è aggrappato al nuovo inquilino del Quirinale. «Qui tra ambasciatori americani, giudici costituzionali e presidenti emeriti - sbotta l'ex ministro della Difesa, Mario Mauro - stiamo assistendo ad uno scontro ai massimi livelli». E ora la battaglia avrà come teatro anche la Consulta. Se la moral suasion del presidente emerito punta a togliere subito di mezzo l'Italicum, sull'alto Colle c'è chi, in ossequio alla vecchia scuola democristiana, predica prudenza. «Da una parte c'è Napolitano - confida Paolo Naccarato, dna democristiano e gran conoscitore del Palazzo - e dall'altra Amato, che è più cauto, che non vuole investire la Consulta di una responsabilità rischiosa e ha sposato l'idea di rinviare il giudizio sull'Italicum a dopo il referendum. La linea è non interferire e Amato è diventato il dottor Sottile di Mattarella». Appunto, meglio essere prudenti, meglio restarne fuori. Anche perché gli arbitri hanno molti amici pure sul Fronte del «No».
A cominciare da quel Massimo D'Alema che ormai parla con tutti. «A noi Massimo ci ha presentato - racconta il leghista Raffaele Volpi - una proposta di riforma su tre punti che potrebbe coinvolgere tutto il Fronte del «N». E noi siamo d'accordo». À la guerre comme à la guerre...