"Esterni" in fuga da Leu: rivolta contro Grasso

Si sfilano gli esponenti della società civile sballottati nei collegi. Il capo di Ala cede al Pri

"Esterni" in fuga da Leu: rivolta contro Grasso

Alla fine, nelle liste di Liberi e uguali «l'unico vero candidato della società civile», come dice lui, sarà Massimo D'Alema.

Gli altri sono in fuga dal partitino della sinistra anti-Pd, squassato da una furiosa lotta interna sui posti: al medico di Lampedusa Pietro Bartolo, annunciato con gran fanfara da Grasso, hanno proposto una candidatura a Pavia, 2000 km da casa, dove non conosce nessuno: «Sarà per un'altra volta», ha risposto lui, con tanti saluti. «Lo avevano spostato per fare spazio in Sicilia a qualche iperprotetto. Se per favorire un burocratino si sacrifica Bartolo siamo veramente alla frutta: è l'implosione», tuona Peppino Caldarola, direttore della dalemiana rivista ItalianiEuropei. «Un gruppo dirigente di Schettino, che pensano solo a salvare le proprie poltrone», sibila un dirigente siciliano.

Si sfila anche Andrea Iacomini, portavoce Unicef, sballottato da giorni in vari collegi impossibili mentre i maggiorenti di Mdp e Si si contendono sanguinosamente i (pochi) posti certi. Pietro Grasso però è contento lo stesso, perché ha piazzato in almeno due listini blindati il suo portavoce e ghost writer Alessio Pasquini. A tutti quelli che reclamano un suo intervento da «leader» per porre fine al caos interno replica: «Chiedete a Migliavacca», ossia al luogotenente di Bersani. Si parla di un D'Alema furioso: ha chiesto quindici candidature per i suoi ma finora è riuscito ad ottenerne solo una per colei che viene indicata come sua protégée, tal Anna Falcone, reduce della «sinistra del Brancaccio» che tenta inutilmente di entrare in Parlamento dai tempi in cui militava nel Psi craxiano, e poi nella lista Ingroia. Chiuso nella sua Puglia, D'Alema lavora su antiche alleanze trasversali (dalla Poli Bortone a Fitto nel centrodestra fino ad Emiliano nel Pd) per non avere troppa concorrenza elettorale nel collegio. E guarda sconsolato al «disastro» combinato da Grasso, Bersani & Co. Furioso è anche Pippo Civati, che minaccia un «referendum tra gli iscritti» per decidere se restare in Leu o scindersi. «O cambiano metodo sulle liste o ci rivediamo il 5 marzo», ringhia. Il caos è totale: «Metodi fascisti», tuonano i dirigenti abruzzesi contro l'imposizione di candidati della nomenklatura romana. Quanto a Bersani, i suoi fanno girare che potrebbe candidarsi solo nel proporzionale. La scusa: «È stato segretario, non vuole sfidare un Pd nel collegio». La ragione vera: evitare (come Grasso) una trombatura imbarazzante.

Nel Pd, che oggi riunisce la Direzione per chiudere le liste, ieri è stata la notte dei lunghi coltelli, con la minoranza di Andrea Orlando sul piede di guerra contro Renzi e uscenti illustri come Fioroni, Damiano e Pollastrini che rischiano di restare senza seggio a causa delle troppe legislature sulle spalle.

E per Maria Elena Boschi si annuncia una campagna elettorale da Millemiglia: uninominale a Bolzano e proporzionale in Sicilia. Una faticaccia. Intanto un protagonista assoluto della legislatura, Denis Verdini, annuncia ufficialmente che non sarà candidato. E «regala» il simbolo di Ala al Pri, «il partito in cui ho iniziato a far politica».

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