
Fra le opere più misteriose della pittura italiana c'è l'Allegoria sacra di Giovanni Bellini (dipinta nel 1490-1500, un olio su tavola di dimensioni 73 x 119 cm conservato presso la Galleria degli Uffizi). È la versione assolutamente inedita di un soggetto, di un tema religioso molto comuni, e peraltro molto frequenti nell'opera di Giovanni Bellini. Ciò che stupisce, invece, è la composizione, l'impaginazione, perché, quanto al soggetto, il mistero è soltanto apparente.
Si sono spesso interrogati, i critici, sul significato di questa Allegoria che, in realtà, allegoria non è, e non ha altro significato che quello che si vede. Cosa vediamo? Un'apertura su un paesaggio, una loggia, uno spazio aulico, un pavimento a intarsi marmorei policromi. E vediamo una balaustra, che ha la funzione di separare questo luogo spirituale, questo luogo consacrato, questo luogo di elezione per un gruppo di personaggi, dall'acqua, dai monti, dalle case che si scorgono. Ma la natura avvolge questo spazio. La mia interpretazione - come nel caso della Tempesta di Giorgione - è letterale, tanto da stupirmi che non sia stata immediatamente proposta a soluzione del supposto «Mistero». I protagonisti, infatti, sono gli stessi personaggi che, un attimo prima di stare in questo dipinto, erano in posa in una pala d'altare con la Madonna e i santi. Cosa aveva fatto Giovanni Bellini, e prima di lui, o a fianco di lui, Antonello e la Tradizione coeva e successiva? Avevano posto su un trono la Madonna con il Bambino e, intorno ad essi, due o tre per parte, i santi; sotto il trono, dei putti o degli angeli con la funzione di musici (si prenda ad esempio la Pala di San Zaccaria dello stesso Bellini). A volte, a compimento della parte inferiore, poteva trovarsi anche un elemento decorativo, come una pianta.
Nella Pala di San Zaccaria, come in opere analoghe, Bellini mette in posa alcuni attori fissi, dunque, nello spazio di una chiesa, di un'abside e, come tali, essi «rappresentano» quella che si chiama una «sacra conversazione». Conversano, cioè, l'uno con l'altro, alla presenza della Madonna e del Bambino che li ispira. Di più: «sacra conversazione» sta a significare che la conversazione verte su pensieri eletti, come il tema della incarnazione, della verginità della Madonna e della nascita di Cristo e della sua morte. «Conversazione» come meditazione che, dunque, può anche avvenire in silenzio. È importante che gli attori possano parlarsi, cioè che condividano uno spazio unico in cui possano interagire, a differenza del polittico medioevale in cui gli scomparti separano irrevocabilmente i protagonisti, e li consegnano alla solitudine ieratica di un non luogo connotato dal fondo oro. Esempio principe di questa «sacra conversazione silenziosa», in uno spazio vero e prospettico è la Pala di Urbino di Piero della Francesca, ora a Brera.
Se in queste composizioni con la Madonna e i santi ai lati tutto è ordinato, tutto è in posa, dobbiamo immaginare che il soggetto della Allegoria sacra degli Uffizi di Bellini è tutto meno che misterioso: si tratta di una ricreazione. Improvvisamente, le persone che erano in posa sono libere di muoversi come vogliono. Non devono più interpretare un ruolo, per il quadro ufficiale, ma sono rappresentate, quelle stesse persone, in un'aula sacra davanti alla natura, e in un momento di disimpegno.
E quindi il San Pietro e il San Paolo stanno appoggiati alla balaustra (forse dobbiamo immaginarli a fumare una sigaretta?), come se, avendo sospeso il loro ruolo sacro, potessero, per una breve pausa, adagiarsi nell'atteggiamento di chi non ha necessità di assumere il posto che la storia, il mito e la religione gli hanno affidato. Il giovane San Sebastiano e il vecchio Giobbe sono nudi (l'uno per ricevere le frecce, l'altro per macerarsi al sole nelle sue sofferenze) e stanno chiacchierando fra loro. Non è più una «sacra conversazione», ma è una «umana conversazione» di due attori che hanno appena recitato o stanno per recitare la parte di San Sebastiano e San Giobbe.
E, ancora, i bambini che giocano con l'albero: è probabile che tra poco dovranno essere sigillati nel ruolo di putti o di angeli ai piedi del trono, ma per il momento si stanno divertendo e giocando, come dei bambini, appunto. Ognuno di loro, dunque, è fuori dal ruolo per cui sono stati scritturati, in un momento di ricreazione e di pausa. Tutti, salvo la Madonna, che sta ancora sul suo trono, e Santa Caterina, in ginocchio, che la adora: evidentemente la pausa è stata chiamata da poco, e loro due, le attrici principali, non hanno fatto in tempo a rilassarsi.
Ma perché Bellini fa questo? Solo per un gioco? No. Tutti gli elementi della «sacra conversazione» sono qua presenti, ma composti in un modo diverso, per evidenziare questa meravigliosa pavimentazione, questa lastra che sembra una pista da ballo che, con i suoi intarsi marmorei, definisce il campo prospettico. E poi, oltre la balaustra, si apre lo spazio della natura, che è la protagonista vera di questo dipinto. Natura pura, natura libera, come se avesse assorbito, lei, la parte religiosa, la sacralità, spossessandone i personaggi, ora in pausa, in secondo piano.
Il protagonista è il paesaggio, e questo gruppo di persone serve a creare un contrasto fra civiltà e natura, fra architettura, soggetto religioso e, invece, il puro idillio di natura. In questo senso il quadro è una invenzione molto complessa, molto raffinata, ma è semplice sul piano dell'interpretazione, e si appaia al «mistero» della Tempesta di Giorgione. Che cosa rappresenta Giorgione? Ciò che si vede, cioè una tempesta che arriva, inattesa, segnalata da un lampo, in una giornata bella, come nell'Estate di Vivaldi. È chiaro, tuttavia, che una testimonianza così insolita, così originale, come quella di Bellini, resta un unicum, e motiva tante discussioni. Ma a guardarla con occhi liberi, essa si mostra una composizione comprensibile e decifrabile, anche se elaborata da un genio straordinario che riesce a farci vedere il mondo da un punto di vista completamente diverso e nuovo.
Ci fa intendere che gli stessi personaggi che poco prima erano composti in una misura assolutamente solenne, sono qui visti in una dimensione quotidiana, ordinaria, e perfino disordinata, per fare risaltare il potere sacro della natura.
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