Signum, un luogo dell’anima (e il suo cibo)

Il ristorante dell’affascinante resort di Salina vive della cucina colta e consapevole di Martina Caruso e dell’entusiasmo del fratello Luca, principe della cantina e della sala ed è certamente uno dei locali più interessanti dell’intera Sicilia. Tre i menu: uno, il Sigillo, dedicato ai classici della “cheffe”, l’Oltremare che indugia sulla frollatura del pesce e il vegetale Radici

 Signum, Luca e Martina Caruso
Signum, Luca e Martina Caruso

Il Signum è un luogo dell’anima, un’isola dentro l’isola dentro l’isola. E’ infatti un resort-casa seminascosto in una stradina di Malfa, tra i centri abitati dell’isola di Salina, nell’arcipelago diffuso delle Eolie, al largo della Sicilia Settentrionale. Un luogo che definire magico è sì scontato ma anche inevitabile. E che – consiglio disinteressato – è bellissimo visitare in ottobre, mese dal fascino discreto. E dove tra i tanti punti di interesse non ultimo è la cucina di Martina Caruso, chef patronne dell’omonimo ristorante, che fu nel 2019 la più giovane italiana a prendere la stella Michelin, riconoscimento da allora sempre confermato. E anzi poi bissato con la stella verde della sostenibilità.

Signum, Luca Caruso nella cantina
Signum, Luca Caruso nella cantina

Il merito di Martina, uno fra i tanti, è non essersi accontentata di essere la più brava dell’isola nel ristorante di famiglia, ma di essersi messa in gioco andando a Roma a fare una scuola del Gambero Rosso e poi collezionando esperienze con grandi maestri, da Antonello Colonna a Gennaro Esposito, da Jamie Oliver fino a Lima, in Perù, alla corte di Pedro Miguel Schiaffino. Poi, solo al termine di questo lungo viaggio di formazione, il ritorno a Salina e la decisione, con il vulcanico fratello Luca, che oggi guida la sala con passione quasi ineguagliabile, di prendere in mano il ristorante fino ad allora nelle solide mani di papà Michele, che con la moglie Clara aveva creato questo posto quando Salina era solo una briciola caduta sull’atlante. In pochi anni Martina entra nei radar dei gastronomi e della critica, e oltre alla stella Michelin ottiene anche nel 2019 il premio di migliore chef donna sostenuto da Veuve-Clicquot.

Signum, la Terrazza fine dining
Signum, la Terrazza fine dining

Al Signum si mangia nel bistrot che propone piatti della tradizione eoliana e siciliana con un pizzico di eleganza, e nel ristorante gastronomico che rappresenta la scatola nera dell’intero progetto. Qui Martina propone tre menu degustazione: il Sigillo, 9 piatti a 195 euro oppure dodici a 250, l’Oltremare con 8 piatti a 185 euro, il Radici interamente vegetale, sette piatti a 170 euro. Chi non vuole affrontare un menu piuttosto lungo (anche se ben ritmato, va detto) può anche scegliere alla carta due piatti degli altri menu a 95 euro o tre piatti a 140 (l’eventuale dolce richiede un supplemento di 25 euro).

Signum

Io ho soggiornato due giorni al Signum, provando a cena più o meno quasi tutti i piatti di Martina. La prima sera ho sperimentato il menu Sigillo, quello che racchiude i cavalli di battaglia della “cheffe”, come la magnifica Bagna cauda rivisitata e sicilianizzata, con la crema di patate mantecata al latte, alici, ricci crudi e aglio, come la Murena cotta al vapore con finocchietto di mare e limbarda e brodo di murena in gelatina (un piatto di straordinaria eleganza malgrado la murena non sia considerato un pesce nobile), come la rivisitazione della palermitanissima Pasta alle sarde, con lo spaghetto mantecato con pesto di finocchietto selvatico, tartare di alici e mollica atturrata. E come i due dessert, entrambi dei classiconi: il Gelato al cappero con cialda di pane semidolce, polvere di cappero e cappero candito, che si mangia come fosse un sandwich, e la Crostata al limone con frolla sablé, meringa e gelatina di liquirizia.

Ma ho apprezzato anche alcuni altri piatti del percorso, dagli snack (come il Raviolo con macco di fave e bottarga di tonno o il Cannolo di baccalà e zest di cedro) alla Granita di limone con dressing di peperoncino e polvere di prezzemolo, il Carpaccio di ricciola con garum di alici e olio alle erbe, fino al Gambero rosso di Salina crudo laccato con bloody mary, servito con scalogno cotto in conserva acetica di lampone, pesca, limone salato, misticanza, salsa al corallo; e la Spatola panata alle erbe cotta al josper, crema di mandorla, sedano crudo alla colatura di alici e leche de tigre. I fagottini ripieni di polpo mantecati in una crema di patate e nduja, crumble di oliva nera, polpo piastrato e polvere di foglie di limone sono un inno al sapore, il Dentice cotto al forno con laccature di acciughe, salsa di lattuga con lattuga marinata, salsa di arancia e arancia candita esibisce un ottimo equilibrio mentre l’Aragosta cotta al josper laccata con salsa alla Malvasia, servita con insalata russa e misticanza valorizza una materia prima in questo caso blasonata.

La seconda sera via libera a un mix degli altri due menu: partenza affidata a un paio di proposte vegetali (la Bieta ripassata in padella con spuma di patate, polvere di limone, porri e zenzero e la Melanzana cotta a bassa temperatura, panata con farina di riso e fritta, servita con salsa di noci, salsa di basilico, crema di melanzane bruciate, erbe aromatiche) poi un viaggio nelle differenti espressioni della fermentazione del pesce. Uno Spada frollato per sette giorni servito con confettura di pompelmo, una Zuppetta di latte di mandorle con vongole, triglia, bottarga di tonno, limone candito e pomodorini confit, che è l’evoluzione decarboidratizzata di un piatto precedentemente servito con la pasta. Quindi una Alalunga affumicata con finocchietto selvatico con un coraggioso fondo bruno della stessa alalunga. Intermezzo più riposante con i Mezzi rigatoni mantecati in un bordo di cernia frollata serviti con arancia, zafferano, cicoria, scorfano e salamino di tonno fatto dalla cheffe e con i Tortelli con diverse concentrazioni di seppia (il nero, il burro, il brodo). Poi si torna alle frollature con una Cernia di sette-dieci giorni sia cruda con foglie di fico disidratate sia cotta con salsa di crostacei piccante. Sorprendente come in questo piatto la pelle della cernia ricordi quella francamente irresistibile del pollo allo spiedo. Chiusura salata con un colpo di coda vegetale: Scarola marinata, piastrata con salsa yogurt, olio ai pinoli, crumble di olive, capperi e uvetta. Qui il dolce è nuovo, il Monte Fossa che omaggia la cupa montagna locale: una passeggiata in alta quota con gelato alla nepitella, terra di funghi, spugna di finocchietto selvatico, funghi in agrodolce, rametti di cioccolato, more, mousse di castagne, foglia di mandorla.

Evidenziatore per la buona panificazione, soprattutto per il pane con farina siciliana di Russello e tumminia e per la sfacciata brioche sfogliata salata. La carta dei vini è completa, Luca ha una vera passione per gli Champagne e si vede, ma ci sono anche tante etichette locali. Lo stesso Luca, come detto, domina la sala e intrattiene i clienti con narrazioni picaresche, ma c’è anche Emanuele a dargli una mano. Un luogo che potrà crescere ancora ed entrare nel Gotha assoluto italiano se Martina e Luca continueranno a studiare e ad applicarsi e non si accontenteranno solo del fascino di un luogo che può stordire e illanguidire.

Panificazione: grissini difarina di rossello, cracker con foglie di salvia e farina di semola e brioche sfogliata salata
Panificazione principale:

pane di farina di Rossello e tumminia con burro ai capperi
Piccola pasticceria, cannolo ricotta e pistacchiol tartfino al cioccolato e tartelletta con crema chantilly
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