La Generazione X mai puntuale all'appuntamento con la storia

Prima superata dalla Rete, poi dall'Ia Miti, mode e (anti)eroi di un'epoca

La Generazione X mai puntuale all'appuntamento con la storia
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Nel 1991 avevo vent'anni, studiavo lettere, vivevo in collegio e non avevo idea di dove il mondo stesse andando a parare. In biblioteca c'era un computer connesso all'ultima meraviglia, internet. Lo usammo una notte per chattare, allora non si diceva così, con la Wilma che si era trasferito, è un uomo, nonostante il soprannome, per un semestre a Glasgow in Scozia. Schermo nero. Tempi d'attesa noiosi. Un telefono vero per connettersi. Un gigantesco elenco per i numeri da digitare. Commentai: «Ma non è più semplice telefonarsi?». Risposta esatta di uno studente al terzo anno di ingegneria: «Vai a ripassare lo Stilnovo, non hai capito niente». «Al cor gentil rempaira sempre amore». In effetti, non molto tempo dopo, mi resi conto che la mia laurea non valeva nulla dal punto di vista del mercato. Le mie competenze, per usare una parola ridicola, erano state superate in un baleno dalla storia. Brutta storia? Non direi. All'epoca poi ritenevo un vanto di aver passato un lustro a occuparmi di cose ritenute inutili dal mondo. Per me quella gente, da Dante in poi, era viva, quasi sempre più viva, ai miei occhi, di chi mi stava accanto, e questo mi basta e mi avanza tuttora. Comunque, mi andò bene, presi qualche assegno di ricerca, una cattedra di lettere alle superiori prima di mollare tutto per il giornalismo, che presi non come un vero lavoro ma come un passatempo per il quale vieni inspiegabilmente retribuito (ancora per poco, è un mondo condannato a morte). Ecco, mai mi sarei aspettato di essere superato una seconda volta dalla storia in così breve tempo. Infatti l'intelligenza artificiale rende nuovamente obsolete le mie competenze, quelle antiche e presto, del tutto, anche quelle maturate negli ultimi 25 anni, 16 al Giornale. Qualche giorno fa, il New York Times ha affrontato il tema proprio in questi termini: la generazione X era destinata a essere travolta dalla storia.

D'altronde i segnali c'erano già tutti. Lo scrittore Douglas Coupland nel 1991 pubblicò un romanzo che diede il nome a una generazione: Generazione X (di recente ristampato da Accento editore). La X sta per «né carne né pesce». Una generazione né fuori né dentro al mercato, né apolitica né ideologizzata, né cinica né sentimentale. Mah. Il romanzo resta bello ma a ripensarci oggi c'erano sia la carne sia il pesce, solo che non tutti erano abbastanza svegli da accorgersene, io tra questi. Del boom della Rete abbiamo già detto. La globalizzazione, come argomento di dibattito pop, e di scontro nelle strade, nasce lì. Il banchetto delle big tech, tipo Google, inizia nella seconda metà del decennio. Microsoft e Apple già esistevano ma lo sviluppo decisivo risale alla diffusione capillare dei pc. Le tivù satellitari, allo sviluppo delle quali ha dato un contributo decisivo proprio quel compagno di collegio che mi spedì a rileggere Guido Cavalcanti e Lapo Gianni. Arrivano alla fine cicli storici, l'Unione sovietica fa ciao ciao con la manina, l'Occidente inizia a dare segni di insicurezza con l'ascesa del politicamente corretto, la secolarizzazione procede al punto che un Papa, Benedetto XVI, nel 2005, indicherà nell'Europa il principale territorio da (ri)evangelizzare.

Non è il caso di rimpiangere gli anni Novanta, se non in un campo: la musica rock. Seattle, il grunge, I Nirvana... Nel 1991 sono usciti: Nevermind, Out of Time dei Rem, Blue Lines dei Massive Attack, l'omonimo dei Metallica, Ten dei Pearl Jam, Screamadelica dei Primal Scream, Blood Sugar Sex Magick dei Red Hot Chili Peppers e mi fermo qui ma potrei continuare. Una serie simile non si ascoltava dalla fine degli anni Sessanta. Non sarà un caso, però, che la popstar simbolo del decennio sia un antieroe, il tormentato Kurt Cobain, leader appunto dei Nirvana. Il 5 aprile del 1994 la festa finisce: Cobain si suicida con un colpo di fucile. Tutti a casa.

Se dovessimo citare due narratori che hanno colto lo spirito dell'epoca, diremmo Bret Easton Ellis e Michel Houellebecq. Ellis ha dato il romanzo definitivo sugli anni Ottanta, Meno di zero (1985), ma anche quello sugli anni Novanta, American Psycho (1991) ovvero cosa-succede-quando-il-capitalismo-si-trasforma-in-finanza-e-deraglia-nella- più-completa-avidità. Ellis è nato nel 1964. Houellebecq è del 1956. Ma il suo esordio come romanziere, Estensione del dominio della lotta, risale al 1994.

Nelle sue pagine vediamo la tristezza infinita dell'uomo medio occidentale: stipendio sufficiente, sesso inesistente, vita sociale insoddisfacente, tendenza all'isolamento, pulsioni masochiste. Non siamo uomini ma insetti: tre-quattro leggi di marketing esauriscono il campionario dei nostri desideri colonizzati dal consumismo globale.

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