Milano diventa un inferno musicale da cui nessuno riesce a scappare

Nel romanzo di Alessandro Bertante va in scena una distopia a tutto volume

Milano diventa un inferno musicale da cui nessuno riesce a scappare

Sulla copertina di questo libro E tutti danzarono (pubblicato per i tipi de La nave di Teseo) campeggia un'immagine brulicante di vita e di morte. Si tratta di un dipinto di Pieter Brueghel Il Giovane dove è rappresentata una festa di paese. La scena è gremita di una folla di figure contadine. Non è una massa indistinta. Le figure sono tutte individualizzate, ben distinte nelle espressioni e nei moti dell'animo: un popolo che danza intorno a un palo della cuccagna. A ben vedere, però, non si tratta di un rito felice, bensì di una possessione macabra. All'interno della festa non c'è nulla di gaio, è il destino tragico della condizione umana a imperversare.

Nell'ultimo romanzo di Alessandro Bertante è appunto una festa al centro del racconto, quella dichiarata e voluta da un sindaco di Milano che crede che l'organizzazione di un gigantesco rave, da tenersi in tutti i parchi della città, sia il modo più astuto di attirare il consumo giovanile e valorizzare l'immagine della città. Una città felice, prospera, inclusiva, che promette a tutti la via per inserirsi in questo carnevale perenne della vita. Questo ottimismo, nutrito di certezze morali e comfort zone, incapace di scrutare i segni dell'abbrutimento e della catastrofe di civiltà che sono presenti nelle nostre vite, è confitto nella parabola del protagonista di questo libro, Ivan Boscolo, e percorre tutto l'arco di questa fiaba nera.

Ivan è un uomo di mezza età, con un passato intriso ancora di memorie novecentesche, di esperienze ribelli, di sentimenti di sconfitta. Apparentemente è un uomo che ha raggiunto un certo grado d'inserimento, è diventato un professore universitario, di letteratura, ha comperato una casa con giardino nel quartiere di Acquabella. Conserva, però, un certo disprezzo anarchico, un sentimento confuso e idiosincratico di rifiuto dell'esistente, che gli impedisce di allinearsi con le ideologie politicamente corrette.

I suoi miti lo spingono verso una direzione contraria della Storia. Prima di tutto risalgono al rapporto con la figura paterna, che si scoprirà essere uno dei fondatori delle Br e che poi occulterà questa vicenda per decenni, Poi ci sono di mezzo gli anni della sua giovinezza, sul finire del secolo. Ivan è un vitalista, partecipa ad alcune esperienze di antagonismo sociale, per un periodo ama anche viaggiare senza troppi soldi. Per lui questo passato è un'epoca di avventura, un mondo che è ormai totalmente separato dal suo presente, e proprio per questo contiene delle istanze inassimilabili alla vita che osserva tra i milanesi di oggi. Ivan mantiene, benché incompreso da quasi tutti, un suo personale rapporto con questo passato. Per esempio colleziona ancora cd, perché si rifiuta di ascoltare la musica randomizzata di Spotify, e crede così di mantenere un inattuale potere di scelta in una situazione dominata dal controllo algoritmico delle vite. Soprattutto continua a bere almeno 3-4 gin tonic al pomeriggio, assumere Xanax, credendo così di bilanciare il proprio equilibrio morale precario grazie a una condotta lentamente distruttiva del proprio corpo.

Ivan si trascina per le strade del suo quartiere con un sentimento di sradicamento, di estraneità ai casi della vita, che richiama tipici personaggi dell'esistenzialismo. Il tono generale del libro è, infatti, scandito dall'uso costante del monologo interiore, dal ricorso a pochi dialoghi. Su tutto domina lo sguardo ossessivo del protagonista. Il fascino, però, del libro di Bertante risiede nel processo delirante del racconto. All'inizio è lo sguardo deformante e allucinato di Ivan Boscolo, poi però scopriamo che in questo sguardo sta collassando un evento reale e catastrofico.

Il centro gravitazionale di questa visione è la realtà urbana di Milano. Nei libri di Bertante la presenza fisica di Milano è uno degli aspetti cruciali del racconto. I quartieri e i suoi abitanti, le trasformazioni storiche, i personaggi riconoscibili da chi frequenta e conosce i locali citati, non sono sfondo della trama. In E tutti danzarono, infatti il rapporto tra Ivan e Milano è fusionale, o, perlomeno, osmotico.

L'impazzimento è il cuore pulsante della nuova realtà verso la quale urta la rabbia di Ivan. La festa voluta del sindaco si trasforma in un enigmatico e pauroso contagio patologico. I giovani che hanno invaso Milano non smettono più di ballare, come accadeva in certi racconti popolari che descrivono il medievale ballo di san Vito. Sono i posseduti postmoderni, incapaci di dare forma a una energia scatenata da un mondo felice e globalizzato, dove si può essere tutto e quindi niente. Ballano fino allo sfinimento, trasformando il piacere e la disinibizione in una spirale distruttiva e apocalittica.

Sarà il rapido dispiegarsi di questa insensata e feroce tragedia a investire il protagonista. Nel corso degli eventi avviene in lui la trasformazione decisiva, che gli permette quasi di ritrovare miracolosamente l'energia del suo corpo, le motivazioni della giovinezza, lo scontro decisivo per salvare almeno sua figlia dalla distruzione incombente.

Infatti, la giovane Micol è andata al rave. In un primo momento Ivan non aveva saputo impedirglielo, nonostante i suoi dubbi. Una proibizione sarebbe apparsa anacronistica, quasi patriarcale. Invece, l'urto traumatico della realtà divenuta psicosi gli rivela la necessità di un compito autenticamente morale, da condurre addirittura senza risparmio della forza. Ivan si approprierà di una vecchia pistola del padre ex brigatista, una Luger, e con essa sparerà prima un colpo a salve contro degli stupratori vigliacchi che approfittano di una ragazza e poi la punterà dritto in un occhio di uno questi che mostrava resistenza fino a incutergli soggezione e terrore.

La metamorfosi del protagonista culmina nel ricongiungimento con la moglie, da cui è separato, e col ritrovamento della figlia. Ma dove il racconto si interrompe non siamo di fronte a un happy end, a una ritrovata sistemazione pacifica degli avvenimenti. Siamo di fronte a una epifania oscura e senza redenzione.

Per chi conosce i libri di Bertante non sarà difficile riconoscere come questo romanzo breve s'inserisca dentro diversi suoi libri precedenti, anche attraverso esplicite citazioni di personaggi e situazioni. Soprattutto può essere anche letto come il prequel delle vicende di Nina dei Lupi e di Pietra nera. Al di là del gioco letterario, però ,va detto che questo libro rivela la maturità raggiunta da Bertante e inquadra in una poetica forte e riconoscibile la sua personalità di autore.

Non si tratta qui di un gioco combinatorio o autoreferenziale di elementi letterari, Al contrario, il richiamo alla mitopoiesi, all'epica, alla fiaba sono - da sempre - per Bertante la chiave d'interpretazione della esistenza sociale.

E tutti danzarono è un canto per voce sola, feroce e straziante, una favola per adulti che sappiano rinunciare a ogni promessa di lieto fine.

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