Il racconto choc del carabiniere: "Io sequestrato, denudato e finito a sprangate dai No Tav"

L'intervista esclusiva di Quarta Repubblica a Luigi De Matteo, militare che finì per 30 minuti nelle mani degli antagonisti

Il racconto choc del carabiniere: "Io sequestrato, denudato e finito a sprangate dai No Tav"
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Questa è la storia di un vicebrigadiere. Aveva un lavoro. Era un carabiniere. Lo avevano inviato in Val di Susa a difendere la Tav e si è trovato a fronteggiare gli antagonisti: finito nelle mani di un manipolo di violenti, è stato torturato, malmenato, ha subito 400 giorni di prognosi, ha rischiato la vita e infine ci ha rimesso la carriera: congedato dall’Arma, non può più svolgere il lavoro che amava. “La mia carriera si è fermata quel giorno - racconta Luigi De Matteo in un incredibile documento mandato in onda da Quarta Repubblica - Mi arruolai nell’82 fiero di indossare quella divisa che sin da piccolo mi apriva il cuore. L'ho portata sempre con orgoglio”. Finché i No Tav non gli hanno rovinato la vita.

I fatti risalgono al 3 luglio del 2011. Durante uno degli attacchi più feroci alla Tav, Luigi si ritrova in prima linea. “Ci buttavano addosso di tutto - racconta - acido, pietre e bombe carta. Non ho sentito che mi dicevano di tornare indietro, di solito si dà una pacca sulla spalla. A un certo punto ho visto che si avvicinavano troppo, ma quando mi sono girato mi sono reso conto che ero rimasto solo”. A quel punto inizia l’inferno. “Sono stato raggiunto da una pietra e sono caduto. Mi arrivavano sprangate, calci. Mi hanno trascinato nel bosco dietro ad una roccia e lì mi hanno finito a sprangate: mi hanno denudato, mi hanno tolto tutto, anche la pistola. Sono rimasto con i pantaloni e forse con uno solo degli anfibi. Si sono presi tutto, anche oggetti personali incluso un ricordo di mio padre”.

Il sequestro dura qualcosa come 30 minuti. Il vicebrigadiere viene “rilasciato” solo dopo una sorta di trattativa tra forze dell’ordine e militanti. Lo scambio si conclude con uno degli aggressori che urla: “Il prossimo non torna indietro”. “Erano tutti incappucciati - ricorda oggi De Matteo - Mentre mi menavano io cercavo di coprirmi, sentivo urlare che dovevo fare la fine di Giuliani. Era impossibile capire quanti fossero. Mi picchiavano con spranghe, calci, pietrate. Mi colpivano ovunque". In mezzo a quel parapiglia qualcuno prende il suo casco e ci urina dentro.

Il ricordo di quel giorno è per l’ex carabiniere un segno indelebile. Fisico, innanzitutto, ma anche psicologico. “Ho i denti spaccati, un timpano rotto, da un occhio ci vedo abbagliato, continui mal di testa, si vedono ancora le brucature di acido, in testa e sulle gambe - spiega - Ho pensato al peggio. Pensavo fosse arrivata la mia ora. Ero convinto che avrebbero vendicato la morte di Giuliani”. Oltre le ferite, la paura. Quella di chi oggi fatica a dormire. Quella di chi oggi convive con gli incubi. Quella di chi oggi è costretto ad andare in cura da uno psichiatra, nonostante siano passati 13 anni. “Io con quella storia ho perso tutto - conclude - compreso il mio lavoro che amavo. Ho perso la stima in me stesso, la fiducia. Oggi, a 63 anni, ho paura di tutto. Mi hanno cambiato la vita”.

Congedato a causa delle ferite e del trauma psicologico, oggi non può più indossare quella divisa che tanto amava.

“La mia carriera si è fermata quel giorno”. Nessuno dei violenti, neppure quelli a cui sono stati trovati in casa oggetti di proprietà del vicebrigadiere, è stato condannato. Oltre il danno, la beffa. “Ti senti tradito”.

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