Nel bel mezzo della guerra tra il governo Meloni e la magistratura il destino ha collocato la sorte di una quarantina di immigrati provenienti da Egitto, Bangladesh, Gambia e Costa d'Avorio scesi dalla nave militare Cassiopea, sulla cui detenzione nell'hotspot albanese di Gjader decideranno i giudici della Corte d'Appello di Roma, la stessa che ha liberato il criminale di guerra libico Osama al Najem Almasri per un cavillo e che la sinistra considera responsabile del boom di sbarchi in Italia dalla Libia. Una mezza dozzina di richiedenti asilo sono stati già rimpatriati ieri dopo lo screening medico: si tratta di cinque migranti, due sono del Gambia, uno della Costa d'Avorio e due del Bangladesh, che secondo le analisi sarebbero risultati minori (in quattro) e fragili. Saranno invece trasferite nel centri di Gjader i restanti 44 richiedenti asilo, 8 egiziani e 36 bengalesi. Il protocollo prevede che al regime di procedura accelerata di rimpatrio abbiano accesso solo i migranti maschi, maggiorenni e in buona salute senza documenti, provenienti dai «Paesi sicuri» (secondo l'elenco approvato a fine 2024 con il decreto Flussi) che siano stati soccorsi nel Mediterraneo da Marina, Guardia costiera o Finanza. Lo screening sarebbe dovuto avvenire sulla Cassiopea, ma l'accordo tra il governo e i medici dell'Oim, l'organizzazione Onu per le migrazioni che per sinistra e Ong dà ampie garanzia di terzietà, non è stato rinnovato in tempo. «Le operazioni le sta facendo il personale medico della Marina che, per quanto competente, non si occupa di queste cose», lamenta la Pd Rachele Scarpa, parte della delegazione parlamentare che vuole sovraintendere alle operazioni.
I primi verdetti di convalida (o meno) del fermo nell'hotspot albanese sono attesi tra stamattina e il pomeriggio. L'orientamento dei giudici della Corte d'Appello - su cui è ricaduta la competenza sui rimpatri accelerati - appare piuttosto consolidato: la sensazione è che ci siano pochi margini perché l'espulsione di chi non ha diritto d'asilo secondo la Questura di Roma venga convalidata, sebbene rispetto alle tanto contestate decisioni delle sezioni Immigrazione di ottobre e novembre scorso sulla definizione di «Paese sicuro» la Cassazione abbia fissato il paletto dell'esclusiva competenza del potere esecutivo, lasciando ai giudici la discrezionalità necessaria di non privare della libertà un clandestino, pur senza diritto d'asilo, purché arrivi dopo un'istruttoria documentata e calata sul singolo richiedente asilo, non erga omnes o con sentenze fotocopia come avvenuto finora.
A disinnescare il tentativo di un orientamento giurisprudenziale diverso è stata la mossa del presidente della Corte d'Appello di Roma Giuseppe Meliadò (che ha già annunciato apertis verbis la sua contrarietà al Decreto flussi e alla riforma della
giustizia): richiamare nella scuderia della Corte i giudici delle sezioni Immigrazione collegati in videoconferenza. Un gioco delle tre carte che rischia di vanificare anche il terzo viaggio delle navi militari italiane in Albania.
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