A meno di 75 giorni dalle elezioni presidenziali l’eco del 2008 attraversa gli Stati Uniti accompagnando la clamorosa ascesa nei sondaggi della candidata democratica Kamala Harris. A confermarlo nel corso del suo discorso alla convention di partito a Chicago è stato Barack Obama il quale sedici anni fa accese l’entusiasmo degli americani intercettandone la voglia di cambiamento. “Yes, she can”, afferma ora l'ex presidente riferendosi alla vice di Joe Biden. Un’investitura politica destinata a rilanciare ulteriormente il profilo di Harris a cui però proprio in queste ore vengono rivolte le prime importanti critiche.
A rompere le righe tra i media liberal è stato il Washington Post che ha commentato in maniera negativa le proposte economiche presentate la settimana scorsa da Harris nel North Carolina. Riduzione delle tasse per la classe media, aumento degli incentivi per l’acquisto della prima casa e controllo dei prezzi dei generi alimentari. Soprattutto a proposito di quest’ultimo punto e della responsabilità dell’inflazione attribuita dall’ex procuratrice della California alle grandi imprese il prestigioso quotidiano parla di trovate populiste e definisce “deludente” la ricetta economica avanzata dalla candidata dem.
Il New York Times invece rileva la mancanza di un programma elettorale ufficiale, persino sul sito internet ufficiale della campagna di Harris, che stride al confronto con i precedenti. Hillary Clinton nel 2016 si candidò presentando più di 200 proposte politiche mentre quattro anni fa Joe Biden e i suoi uomini si prepararono alla corsa per la Casa Bianca pubblicando un documento di oltre 100 pagine. “Kamala Harris deve ancora dire agli elettori quali sono le sue posizioni politiche e così abbiamo pensato di aiutarla”, dichiara a Fox News un rappresentante della campagna del repubblicano Donald Trump annunciando il lancio di un sito web nel quale poter visionare la presunta vera agenda della vice di Biden incentrata su frontiere aperte, aumento delle tasse e criminali a piede libero.
Come spiegare dunque l’innegabile silenzio di Harris sui dettagli della sua piattaforma politica? La risposta è complessa e richiede un’interpretazione a più livelli. La candidata dem ha dovuto costruire una campagna per le presidenziali con un preavviso quasi nullo. Non le viene poi in soccorso il correre quasi da incumbent presentandosi come erede del vecchio Joe e sapendo di non poter prendere le distanze dai risultati di un’amministrazione in cui lei stessa ha giocato un ruolo chiave.
C’è poi da evidenziare che su alcuni temi come ad esempio la lotta al cambiamento climatico l’ex procuratrice della California evita di esporsi in questa fase per paura di essere classificata come troppo progressista. Sullo sfondo incombe la battaglia per la conquista di uno Stato imprescindibile per la vittoria all’election day: la Pennsylvania, al secondo posto dopo il Texas negli Usa per produzione di gas naturale.
Almeno sino ad ora, la strategia dell’esponente del partito dell’asinello si configura insomma all’insegna del “meno è più”, una riduzione dei rischi che però difficilmente potrà essere mantenuta a lungo. Tanto più se si considera il malumore che serpeggia tra i media per l’assenza di conferenze stampa o interviste rilasciate da Harris a seguito del passo indietro di Biden.
E a chi si chiede quanta sostanza ci sia davvero dietro al fenomeno Kamala Harris e come la nuova Barack Obama sia in grado di rispondere sotto la pressione delle inevitabili critiche non resta che aspettare ancora un po'.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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