Il metodo Donald e gli scogli di Europa e giudici

Donald sta restituendo alla rispettiva patria, ciascuno nel suo rispettivo Paese, chi si era introdotto di sfroso nella patria altrui

Il metodo Donald e gli scogli di Europa e giudici

Naturalmente le immagini destano imbarazzo se non repulsione anche negli italiani che guardano Trump con simpatia e speranza. Soprattutto disgusta la parola «deportazione» coniata all'uopo dal neo-presidente americano per descrivere la pratica che ha inaugurato dal momento della sua entrata in carica. In campagna elettorale aveva promesso, con espressioni brutali di rispedire «in massa» a casa loro gli immigrati illegali. Cominciando da quanti, oltre che irregolari, sono criminali con condanne alle spalle, i quali finora grazie a cavilli, e soprattutto alla presenza negli Usa di «città santuario», proliferavano sereni. Le «città santuario» sono un po' l'equivalente dell'Italia intera. In America infatti ci sono tabernacoli sacri dove i clandestini sono custoditi come ostie: coincidono con le località dove la polizia della contea o del comune non può collaborare, e anzi finisce per ostacolare, l'azione dei reparti dell'Fbi incaricati di far rispettare la legge sull'immigrazione. L'Italia è tutta uno «Stato santuario», un tabernacolo per clandestini. Mentre negli Usa i territori franchi sono limitati dalla polizia locale, da noi provvedono i giudici. E dove fosse mai che qualcuno di loro ceda al buon senso e al rigore delle norme, sono le norme di Bruxelles e le toghe di Strasburgo a perfezionare l'impossibilità delle espulsioni.

Trump ha mosso l'esercito. Non ci sono state talpe che hanno diffuso foto rubate della «deportazione», ci ha pensato direttamente Donald a mettere a disposizione dell'intero mondo la visione della fila, mi pare di guatemaltechi, ricondotti in patria. E qui ci tocca riaggiustare la parola «deportazione». Essa ha assunto in Europa un significato legato agli orrori dei totalitarismi. La hitleriana deportazione degli ebrei ad Auschwitz, la deportazione stalinista di interi popoli (tatari di Crimea, tedeschi del Volga eccetera) in Asia. Questa suggestione della memoria è utilissima per suscitare scandalo e assoluto ripudio di quello che ritengo una maniera sicuramente spiccia

di ripristinare la legalità che è il mandato affidato a Trump dalla stragrande maggioranza dei cittadini americani: law and order. A un certo punto mi pare che in Italia sia stato addirittura Walter Veltroni a riabilitare questo slogan per rassicurare gli elettori sulle intenzioni della sinistra. Figuriamoci.

Qualcuno anche nel centrodestra e soprattutto tra i cattolici si indigna con Trump, cascando come un salame nella trappola. E dà al lemma «deportazione» il significato che man mano ha preso da noi, vedi Treccani: «La traduzione coatta delle persone condannate a tale pena nei luoghi stabiliti per la sua espiazione». E si chiarisce: «Fuori dalla patria». In realtà sta accadendo esattamente il contrario, se si evita la suggestione propagandistica dei progressisti, e si bada ai fatti: Donald sta restituendo alla rispettiva patria, ciascuno nel suo rispettivo Paese, chi si era introdotto di sfroso nella patria altrui. Altri auspicano: facciamolo anche noi, cara Giorgia, che cosa ce lo vieta? Istintivamente sottoscriverei. Aggiungo però: magari. Da noi è impossibile.

Mi spiego. La gran parte degli immigrati illegali arrivano da noi per mare. Punto e finisce lì, perché qui restano. I respingimenti sono vietati dalle leggi internazionali, e chi prova non dico a ricacciarli a casa, ma come provò Salvini, a scegliere il porto di attracco per salvarli meglio, viene processato per sequestro di persona. Se si prova a delocalizzarli in Albania, salta su un magistrato, eccetera. Bene fa Meloni a riprovarci, ma saremo sempre lì, da capo. In Italia è impossibile pensare ad aerei dell'esercito che trasferiscano centinaia di criminali condannati in Italia e con il foglio di espulsione in tasca. Non si sa da quale Paese vengano, oppure gli Stati rifiutano di farli scendere dal velivolo. Per cui in passato i governi di sinistra idearono una specie di anticamera infernale gestita dalle tribù del Sahara. Lo ha documentato ieri Il Tempo diretto dall'ottimo Tommaso Cerno, fu l'esecutivo di Gentiloni, che oggi scalpita per sostituire la Schlein

a guidare il Pd dal centro, a impiantare il metodo di pagare i cacicchi capi delle milizie ai confini con i Paesi subsahariani per conservare lì in salamoia e richiudendoli in scatola come acciughe la merce umana. Per farne arrivare il meno possibile in Italia. La cosa comunque non è riuscita. Per quanto fossero trattenuti e torturati e ammazzati sui confini, in Italia ne sono arrivati tantissimi. Meloni ha cercato accordi con la Tunisia e i governanti libici. La Libia non li manda di certo da Erdogan, perché in questo momento a Tripoli comanda la Turchia, ed essa, alleata della Nato, condiziona i comportamenti dei nostri cosiddetti amici che noi abbiamo comprato e tradito molte volte, tirandoci in testa merda e sangue grazie a Napolitano che volle dare guerra con la Nato a Gheddafi.

Tradotto: se non avessimo restituito il generale, di cui mi fa schifo la faccia e il sorriso da impunito, ai compari di Tripoli, avrebbero usato come arma in parte da lasciare affogare in parte da impiegare come truppa criminale per destabilizzarci, uno tsunami di migranti. C'è un rapporto di costi e benefici che ci obbliga a patti di Realpolitik che ci intristiscono. Bisogna stare attenti a non fare pero contratti faustiani, il diavolo alla fine vince. Mi fido di Meloni.

Consoliamoci con le cifre: Trump ha da rispedire a casa 13 milioni di clandestini. Noi siamo a 600mila.

Erano milioni ma, secondo costume italiano, li abbiamo regolarizzati con sanatorie e condoni, che in questo caso i progressisti apprezzano moltissimo. Nel frattempo, per riconoscenza di essere stati salvati, molti di loro, sanati o non sanati, delinquono. Troviamo il modo lo dico sarcasticamente di intrattenerli tenendo i loro coltelli lontani dalle nostre gole.

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