"Niente recessione". Ma Citi declassa Wall Street e consiglia Pechino

Le rassicurazioni tardive di The Donald non risollevano le stime di crescita Usa

"Niente recessione". Ma Citi declassa Wall Street e consiglia Pechino
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Non si placa il nervosismo sulle Borse mondiali. A dettare l'umore degli investitori è ancora una volta Donald Trump che ha dato in pasto agli investitori novità sul fronte dazi e non solo. Dopo l'annuncio via Truth del raddoppio dal 25 al 50% dei dazi sull'acciaio e sull'alluminio canadesi, poi parzialmente corretto, l'indice S&P 500 è arrivato a cedere l'1,4% toccando i minimi dallo scorso settembre e portandosi a ridosso del territorio di correzione. Fallisce il rimbalzo il Nasdaq (-0,18%), reduce dagli oltre mille miliardi bruciati nella prima seduta della settimana. «I mercati vanno su e giù, ma noi dobbiamo ricostruire questo Paese», ha tagliato corto Trump confermando la sua intenzione di procedere con le sue politiche senza farsi influenzare dall'andamento dei grafici di Borsa. Il tycoon, tornato a intimare la Federal Reserve a tagliare i tassi di interesse, è tornato anche su quello che è stato l'argomento di maggior stress per i mercati, ossia il rischio recessione. «Non vedo affatto una recessione», ha tagliato corto, correggendosi a 48 ore di distanza dall'intervista in cui non aveva escluso una contrazione del Pil.

L'eco delle rinnovate tensioni commerciali si è avvertito anche in Europa con Piazza Affari (-1,38%) e Francoforte (-1,29%) in affanno a fine seduta. A Milano spicca il nuovo tonfo di Stellantis (-5,2%), tra i player più esposti ai dazi canadesi su cui lo stesso Trump ha annunciato ieri un ritocco all'insù (al momento sono sospesi fino al 2 aprile) tale da comportare la «chiusura definitiva della produzione automobilistica in Canada». Come detto, a tenere in apprensione i mercati è principalmente il farsi largo dei timori di un brusco rallentamento dell'economia statunitense. Timori che si sono tradotti in profonde sforbiciate alle stime di crescita per l'anno in corso: Morgan Stanley adesso stima il Pil a stelle e strisce espandersi solo dell'1,5% nel 2025, mentre Goldman Sachs prevede un incremento dell'1,7% dal 2,4% indicato a inizio anno e allo stesso tempo alzando le previsioni di inflazione sulla base di ipotesi tariffarie più sfavorevoli. Ad alzare il livello di allerta è stato anche il numero uno di BlackRock, Larry Fink, che teme un'impennata nel breve termine dell'inflazione statunitense a seguito delle politiche attuate dalla Casa Bianca. Anche il corporate statunitense inizia ad annusare segnali di debolezza e ieri Delta Air Lines ha dimezzato le prospettive di utili per il 2025 affermando che l'incertezza economica guida la debolezza della domanda interna. «Le prospettive sono state influenzate dalla recente riduzione della fiducia di consumatori e imprese causata dall'aumento del contesto macro», ha detto Delta.

La cura Trump rischia di offuscare la stella di Wall Street, che nel recente passato ha abituato gli investitori a performance da capogiro. «L'eccezionalismo degli Stati Uniti è almeno in pausa», tagliano corto gli strategist di Citi che hanno declassato l'azionario statunitense segnalando una possibile pausa nei prossimi tre-sei mesi. Il rallentamento economico dell'economia americana potrebbe diventare più evidente rispetto al resto del mondo e di conseguenza una performance inferiore di Wall Street rispetto ad altri mercati.

E in tal senso la stessa Citi ha contestualmente migliorato il giudizio sulla Cina a overweight (sovrappesare) elencando una serie di fattori tra cui l'ondata di innovazione nell'intelligenza artificiale generata dall'emergere di DeepSeek, oltre a multipli ancora bassi dell'azionario cinese nonostante il rally prepotente dell'indice Hang Seng (oltre +20% da inizio anno).

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