Non si muore da soli

Negli ultimi istanti di vita i malati terminali riferiscono spesso l'esperienza di incontri con i loro cari defunti. E la scienza ha iniziato a studiare il fenomeno

Non si muore da soli

La morte per molti versi resta ancora un mistero, e noi medici non abbiamo certezze assolute, non possiamo prevedere il giorno esatto in cui arriverà, ma soltanto supporre approssimativamente la data del decesso di un paziente terminale, ovvero di un malato affetto da una patologia ormai divenuta incurabile. Di fronte al male che ha preso il dominio di un corpo che non risponde più alle terapie, e alle richieste dei familiari su quanto tempo di vita resta al loro caro, nonostante i monitor ai quali è collegato diano delle indicazioni precise sugli organi vitali in cedimento, restiamo sovente in imbarazzo. E necessariamente siamo sempre molto cauti, poiché spesso la fase agonica può prolungarsi anche per giorni, o precipitare in poche ore.

C'è però una condizione riferita dal paziente in fin di vita che ci fa sospettare che la sua morte sia davvero imminente, un episodio che nulla ha a che fare con le sue condizioni cliniche e con le terapie, ovvero il racconto di un sintomo visionario che non ha alcuna base scientifica, ma che si è dimostrato infallibile nella previsione esatta dell'esito finale.

Domenica scorsa sulla pagina del Corriere della Sera dove risponde ai lettori Aldo Cazzullo, è stata pubblicata una lettera inviata dal signor Ruggero Santacroce, il quale raccontava sgomento che, mentre assisteva da settimane sua madre, malata senza più speranza, una mattina lei gli disse: «Sai, questa notte è venuta a trovarmi mia mamma, era lei, era lì davanti al letto, stava bene, non mi ha parlato, non ha detto nulla, ma mi sorrideva. È arrivata da lassù» indicando il cielo. E il giorno dopo la mamma dello scrivente spirò tra le sue braccia, lasciando a lui la convinzione che la nonna fosse scesa realmente da chissà dove per accoglierla ed aiutarla nel momento del trapasso.

È scientificamente provato che in punto di morte moltissime persone riferiscono di «visioni» di familiari già defunti da tempo, la maggioranza delle volte si tratta della madre, ed i pazienti ancora vigili parlano di questa insolita «visita» con grande serenità, senza paura, non ne sono terrorizzati, come fosse una cosa normale che comunque dona al malato una sorta di sollievo, di vicinanza, facendo scomparire in loro lo sconforto di morire in solitudine. Le visioni dei cari defunti diventano più frequenti nelle ore immediatamente precedenti alla dipartita dalla vita terrena, quando il cervello galleggia tra la coscienza e l'incoscienza, tra lucidità e confusione, e la clinica medica conferma che questi episodi riferiti dai pazienti sono sempre più diffusi, anche se si tratta di fenomeni ancora poco studiati e poco trattati.

Sulla base delle dichiarazioni di chi ha vissuto simili esperienze, le apparizioni riguarderebbero spesso la madre o comunque una persona cara deceduta da tempo. Tali figure appaiono e vengono percepite come reali nel racconto dei malati, come fossero veramente presenti nella stanza del paziente, al punto che gli stessi ne descrivono i dettagli, la posizione, il vestito o l'espressione del volto. Ne parlano come della visita inaspettata di una persona in carne ed ossa, e non come di un fantasma.

La scienza in questi casi parla di «allucinazioni visive» di figure umane (in genere una sola), che possono apparire con sembianze del tutto realistiche identiche alla genitrice o ad altro familiare scomparso, che resta visibile per qualche istante per poi scomparire. Il racconto del paziente terminale, che ha impressa nella memoria tale visione e la comunica convintamente, spesso permette di escludere un'esperienza allucinatoria, il frutto di una suggestione o l'effetto collaterale dei farmaci oppiacei o psichedelici per la vista di quella presenza, poiché lo stato evidenziale del fenomeno viene riferito con dovizie di particolari, rendendo quella apparizione come oggettivamente verificabile, e non come un fenomeno paranormale. Inoltre è stato accertato che tali visioni non sono influenzate dalla religiosità, poiché accadono in pazienti di diverse fedi, anche nei credenti «freddi», nei non praticanti, negli atei, e in coloro che non credono nell'aldilà. I malati riferiscono della visita del proprio caro, con il quale hanno condiviso in precedenza una parte della loro vita, come di una persona viva e reale che è stata effettivamente presente nella stanza di degenza, in genere in salute, ben vestita e sorridente, mentre non capita mai che accennino ad una visione celestiale della Madonna o di Dio.

Quando si è vicini alla fine della vita, la visione di una persona defunta è molto più comune di quanto non si pensi, anche se non sono molti i pazienti che decidono di parlarne, per evitare di essere compatiti. La percezione del proprio caro accanto al letto di morte è stata definita «psicosi illusoria» da Sigmund Freud, intendendo un'allucinazione causata dal dolore o dai farmaci somministrati. La definizione contrasta però con ciò che raccontano i pazienti quando riferiscono di aver visto distintamente la persona amata, di aver sentito la sua voce o il suo profumo, descrivendone il volto e l'espressione non come un ricordo o un'evocazione, ma avendo avvertito e visto realmente il suo corpo presente, seduto, fermo, immobile o in movimento.

Uno studio scientifico su questo fenomeno, pubblicato a fine secolo, espanso a 9 nazioni tra le quali Stati Uniti, Francia, Germania, Russia, Brasile ed altri, che ha raccolto 17mila testimonianze dei parenti di pazienti visionari deceduti, ha teorizzato che in quel momento la mente del malato possa proiettare una sorta di scarica energetica telepatica che supera le normali barriere encefaliche, per essere poi raccolta in qualche forma di allucinazione visiva.

Nella nostra società secolare non c'è spazio per i fantasmi, anche perché dopo un lutto vengono recisi i legami che ci tenevano stretti al defunto, si elabora la perdita e si guarda avanti, ma le esperienze di questo tipo, avvertite e descritte da molti decenni, hanno favorito e portato alla nascita dell'elettroencefalogramma, un esame neurologico creato proprio per capire quale attività cerebrale possa permettere di «vedere» , in punto di morte, una persona cara arrivata come per accompagnarci nel trapasso.

Il personale medico e infermieristico che lavora negli hospice, i reparti di ricovero dei pazienti terminali incurabili, parla spesso di queste visioni riferite dai malati e questo fenomeno viene considerato utile per capire quanto quel paziente sia vicino alla morte: è un segno che quella persona allettata da tempo sta iniziando il suo viaggio spirituale.

Anche la psicologia, che da decenni tenta di affermarsi in quanto scienza, parlare di apparizioni viene considerato un residuo del passato, una sorta di superstizione o qualcosa da non prendere minimamente sul serio. Eppure accade sempre più spesso, e quelli che venivano definiti «fantasmi mentali» oggi sono percepiti come «legami continuativi» con il defunto, i quali, anche se dimenticati e sepolti nell'inconscio da anni, si riallacciano e riappaiono nel momento più difficile e delicato dell'esistenza, quello del confine tra la vita e la morte. Come se quella persona cara in quel momento ci venisse a prendere, per accoglierci, tenerci per mano e non farci cadere nella disperazione del fine vita in solitudine.

L'impatto delle esperienze pre-morte sulle persone morenti può essere profondamente significativo. Sul fatto che le visioni dei pazienti terminali siano vere o no, la scienza non si esprime, poiché - nella complessità del cervello - sono molte le cose che ancora non si riescono a capire, anche se la cosa certa è che sono sempre di più le persone che sulla soglia dell'aldilà incontrano la propria madre. Ovvero la «mamma» che li ha generati, portati in grembo e messi al mondo, la prima persona che si vede appena nati, la prima parola che si esprime e l'ultima che si invoca più volte in punto di morte, come se la si vedesse realmente in una visione che riemerge in modo emotivamente rilevante.

Che ci si creda o no, che sia onirica o reale, la visione della mamma in quel momento estremo della vita

comunque rappresenta per ogni moribondo un piccolo spazio di sicurezza nella tragedia in arrivo, ed una confortante rassicurazione emotiva di un ultimo abbraccio, o di un ultimo sorriso, prima di esalare l'ultimo respiro.

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