Pd, caos sulla linea politica. E si apre la caccia a Elly

Franceschini sdogana le critiche alla segretaria che spera nella riforma elettorale per stare in sella

Pd, caos sulla linea politica. E si apre la caccia a Elly
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Ci ha riflettuto 24 ore (meno di quanto le sia servito ad esprimere un'opinione sull'inaugurazione di Trump o sulle manifestazioni violente contro le forze dell'ordine, fanno notare i maligni), poi Elly Schlein manda a quel paese il suo ex mentore Dario Franceschini: «Non entro in questo dibattito, preferisco i temi concreti».

Come dire: tutta fuffa, io vado per la mia strada. Schlein, raccontano, ha preso tutt'altro che bene l'uscita dell'ex segretario dem, eminenza grigia della sua elezione a leader, tramite liturgica intervista a Repubblica: dietro il suo complicato ragionamento sull'impossibilità di unire il campo largo e l'auspicato ritorno al proporzionale, con avance a Forza Italia (che con Maurizio Gasparri replica: «Inutili polpette avvelenate, Fi resta ancorata al centrodestra, in alternativa alla sinistra»), la segretaria Pd ha capito benissimo il messaggio. Un messaggio di sfiducia nella sua leadership, ritenuta - al di là delle rassicurazioni di facciata - non in grado di mettere insieme una coalizione e un programma di governo credibili. E però sa anche che il dibattito (sì, no, forse) che si è acceso dopo l'esternazione franceschiniana è un ulteriore segnale dei malesseri interni al Pd: per l'accentramento di poteri della leader, per lo spostamento ideologico sulla sinistra populista, per la scelta «reazionaria» (copyright Giorgio Tonini) di appecoronarsi alla Cgil sui referendum anti Jobs Act che spaccano i dem o alle Procure sulla separazione delle carriere, per i ripetuti testa-coda sulla politica estera che giorni fa, al Parlamento europeo, han portato i dem a non votare con il Pse sul pericolo Russia e a schierarsi coi nostalgici della falce&martello (e della svastica). E segnala anche le preoccupazioni attorno alla sua incerta leadership, che si riassumono nel mantra: «Con Elly non si vince».

«Il punto - avverte il riformista Stefano Ceccanti - è che il Pd non è ancora credibile come perno di un'alternativa di governo». La questione, ricorda, è stata sollevata nei convegni «centristi» dello scorso weekend. Ma «non sembra ispirare nella dirigenza reazioni coerenti», a cominciare dai «referendum sbagliati sul Jobs Act». Nessuno, al momento, sa come levarsi dai piedi l'ingombrante ipoteca di Elly Schlein sulla premiership. I suoi avversari interni sperano in «un autogol», ad esempio la sconfitta in Campania. Ma Schlein si sta già mettendo d'accordo sottobanco con Vincenzo De Luca (vituperato in pubblico, corteggiato in privato) per evitarla, assicurandosi il suo sostegno in cambio di ampie ricompense: dalla scelta del candidato a cariche future.

A gettare un salvagente alla segretaria Pd è però Giorgia Meloni. Che, secondo un'anticipazione del Corriere della Sera, sta lavorando ad una nuova legge elettorale sul modello delle Regionali, con premio di maggioranza all'alleanza di partiti vincente e indicazione del candidato governatore (o premier).

L'asse Giorgia-Elly su un sistema siffatto sarebbe nelle cose: il premio alla coalizione costringe i partiti a stare insieme (evitando il faticoso mercanteggiamento sui collegi uninominali), e offre legittimazione quasi automatica al leader del partito più forte. Per Schlein, manna dal cielo. E per Meloni avere come avversaria la Schlein, anzichè un ipotetico «moderato» di sinistra, può essere altrettanto vantaggioso.

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