Una riforma costituzionale in sei mesi, compresi tutti i passaggi e ri-passaggi parlamentari: fu la più veloce di sempre. Quella che ebbe inizio indirettamente il 29 aprile 1993 fu quella che segnò la parziale abolizione dell'immunità parlamentare scatenata dagli avvenimenti di quel giorno, quando il Parlamento sovrano votò a scrutinio segreto quattro no e due sì alle richieste di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Pur legittimo, quel voto scatenò un pandemonio per giorni interi in tutto il Paese (il celebre assedio del Raphael fu l'indomani sera, 30 aprile) e fece sdraiare un'intera classe politica ai piedi delle piazze inferocite e, soprattutto, dell'onnipotente procura di Milano. Il relatore della riforma-lampo fu Pier Ferdinando Casini, democristiano e braccio destro di Arnaldo Forlani, che il 12 maggio successivo definì «medievale e superato» l'articolo 68 della Costituzione: dopodiché tutti i partiti, con qualche riserva nel solo Pli, votarono per la sua abrogazione il 12 ottobre 1993 alla Camera (525 sì e 5 no) e poi il 27 ottobre al Senato (224 sì, nessun no e 7 astenuti).
Sei mesi in tutto. Votò a favore persino l'ipergarantista Tiziana Maiolo. A nostra conoscenza, votò contro solo Vittorio Sgarbi. L'ex capo dello Stato Francesco Cossiga la definirà la «vile e demagogica resa del Parlamento a Mani pulite». Disse invece il pidiessino Giovanni Pellegrino, allora presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato: «Noi della sinistra consentimmo che venisse cancellato l'istituto dell'autorizzazione a procedere, strumento a tutela dell'autonomia del potere politico rispetto al potere giudiziario.
E si aprì la strada alla mattanza dei partiti di governo. Avevamo una sponda al Quirinale, e l'ansia di raccogliere i frutti sul piano elettorale era tale che facemmo in modo che quel Parlamento venisse sciolto anticipatamente».
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