
Eccola. È la storia che torna in cronaca. Cronaca giudiziaria, naturalmente. In teoria dovrebbe essere un'eccezione, rischia di diventare la norma. Ieri la prima pagina di molti quotidiani sembrava un viaggio sulla macchina del tempo: la sparatoria alla Cascina Spiotta con la confessione fuori tempo massimo del brigatista Lauro Azzolini; il delitto Mollicone, del 2001, con l'ennesimo colpo di scena in Cassazione e un nuovo processo all'orizzonte. Infine, la storia più mediatica, la morte di Chiara Poggi a Garlasco il 13 agosto 2007: ecco qui emergere un procedimento bis a Pavia che rimette in discussione tutte le certezze faticosamente raggiunte dopo un'altalena di verdetti.
Qualcosa non quadra, se ci misuriamo con vicende che ormai dovrebbero essere Seppellite negli archivi e invece accendono ancora dibattimenti, scontri in aula, lacrime e opposte interpretazioni di segmenti dell'opinione pubblica sempre affamata di rivelazioni.
Le sentenze definitive, almeno una volta, erano un muro quasi invalicabile. Oggi non è più così: gli avvocati di Alberto Stasi, che peraltro fanno bene il loro mestiere, ci hanno provato in tutti i modi a mettere in crisi il verdetto di colpevolezza. Sei tentativi sono andati a vuoto, il settimo ha sfondato la barriera ed é stato sponsorizzato dalla Procura di Pavia. Peraltro, se è concesso un tecnicismo, non è nemmeno un'istanza di revisione, la strada maestra in queste situazioni, ma una nuova indagine che potrebbe riaprire i giochi o forse no. Chissà.
Alla procura generale di Milano era successo qualcosa di analogo per la strage di Erba, da sempre al centro della piazza mediatica: Cuno Tarfusser si era convinto dell'innocenza di Olindo e Rosa, e aveva scritto una singolare memoria, ma i vertici della magistratura milanese l'hanno ignorata.
E però è ormai una moda: ci sono magistrati che studiano fascicoli polverosi e li ripropongono, come se non ne avessero sulle spalle già sufficienza: a volte lo fanno per eccesso di scrupolo, spesso perché istigati da consulenti e periti che dilatano e moltiplicano le infinite suggestioni offerte oggi dalla scienza; quasi sempre ubbidiscono alla vanità. Ma ogni volta per paradosso sbattono contro indagini fatte male che giustificano qualunque remake. La giustizia è nello specchietto retrovisore o, se si preferisce, i processi diventano cantieri senza scadenza. Si arriva ad un determinato punto, si riparte, si torna indietro, come nel rebus sempre più intricato di Arce.
Qualche volta, raramente, i «supplementari» offrono finalmente squarci di verità, come è successo, dopo decenni di incomprensibile inerzia, martedì alla Corte d'assise di Alessandria: Azzolini ha raccontato quel 5 giugno 1975 e quel feroce conflitto a fuoco in cui morirono una terrorista e un carabiniere.
Più di frequente la serializzazione, vedi Garlasco, è un pessimo indizio. Il protagonismo prevale sul sistema. Le prove già esaminate vengono riesaminate. Se possibile, fatte a pezzi. Il cittadino può attendere. Vedremo cosa accadrà a Pavia.
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