Tassi, Bce al sesto taglio attiva il freno

Costo del denaro giù dello 0,25%. Lagarde: "Ora la politica è molto meno restrittiva"

Tassi, Bce al sesto taglio attiva il freno
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«La politica monetaria diviene sensibilmente meno restrittiva». Nelle parole di commento di Christine Lagarde al taglio di un altro quarto di punto ai tassi d'interesse, scesi ora al 2,5%, sembra di cogliere il compiacimento di chi considera ormai conclusa la missione di alleggerimento monetario da parte della Bce. Sei ammorbidimenti per un totale di 150 punti base possono bastare per chi all'interno dell'Eurotower, come la tedesca Isabel Schnabel, già accarezza l'idea alzare il costo del denaro a causa delle probabili tensioni inflative derivanti dai dazi.

Peccato che l'onda lunga della stagione contrappuntata da ben undici strette continui a non offrire un sostengo adeguato alla crescita, visto che per stessa ammissione di Francoforte «il volume dei prestiti resta nel complesso contenuto». Sullo sfondo, un'attività manifatturiera che «rimane un freno», «un'incertezza che pesa sugli investimenti» e prospettive economiche declinanti compendiate nelle nuove previsioni della banca centrale in cui è prevista una minor espansione sia quest'anno (+0,9% dall'1,1% nelle stime di dicembre scorso), sia il prossimo (+1,2% dall'1,4%).

Se già il solo deterioramento congiunturale sconsiglierebbe ogni proposito hawkish, quanto sta avvenendo sui mercati obbligazionario dovrebbe rendere obbligatoria qualche riflessione in casa Bce. Chiamata a interrogarsi sull'effetto dirompente che un aumento dei tassi avrebbe sugli spazi di manovra fiscale dei governi, resi ora ancora più esigui dall'esplodere dei rendimenti dei bond sovrani nell'intera Unione Europea. Un surriscaldamento pericoloso su cui Lagarde non ha invece speso una parola ieri in conferenza stampa, preferendo invece plaudire Ursula von der Leyen per il piano di riarmo da 800 miliardi «che sosterrà la crescita dell'Europa e la sua economia». Non senza però che, in anticipo, si stia manifestando qualche sgradevole effetto collaterale: trattandosi di un piano a carico dei Paesi membri, causa la maggior carta di debito in circolazione i mercati chiedono rendimenti più onerosi per chi la emette. A maggior ragione dopo che con la rottamazione delle misure di quantitative easing l'Eurotower ha smesso di svolgere, attraverso il drenaggio sul mercato secondario di robusti stock di titoli del Tesoro, quella funzione calmierante capace di scoraggiare le pulsioni speculative. Come barriera frangiflutti, adesso la Bce fa acqua da tutte le parti. Il cosiddetto Transmission Protection Instrument (Tpi) è un tappo destinato a saltare in caso di emergenza: varato nel luglio '22, non ha nulla dello scudo anti-spread poiché il suo raggio d'intervento è limitato ai Paesi con i conti in ordine.

Il cuore del problema è questo: si può apprezzare l'intenzione della Germania di mandare in soffitta il pareggio di bilancio e di pigiare sul pedale degli investimenti, ma senza un piano di spesa comunitario l'Europa rischia di andare a sbattere contro il muro di una crisi del debito sovrano 2.0.

Di fronte ai disastri da Covid l'Ue aveva reagito con il Next Generation: questi tempi così incerti e conflittuali richiedono strumenti ancora più straordinari. Come gli Eurobond permanenti, il solo modo per creare un safe asset continentale. Se però la Bce già ragiona su una stretta ai tassi, allora è proprio vero che Tafazzi si è trasferito a Francoforte.

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