
Si contraddicono a verbale, Andrea Sempio e suo padre Giuseppe, quando vengono interrogati nel 2017, nella prima indagine aperta contro Andrea: amico di Marco Poggi, il fratello di Chiara, assassinata dieci anni prima nella sua casa di Garlasco. E quando vengono intercettati, Andrea si sfoga: «Ne abbiamo cannata una».
Tutto ruota intorno allo scontrino che è l'unico alibi di Sempio per il 13 agosto 2017, la mattina del delitto: un dettaglio che torna cruciale, ora che la Procura di Pavia ha deciso di indagare nuovamente Sempio per il delitto finora attribuito a Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara. Ieri Sempio si sottopone al test del Dna impostogli dalla Procura di Pavia, quando esce appare frastornato dall'assedio dei media. «Ma è tranquillo, perché è innocente», dice uscendo il suo legale Massimo Levati. E lo scontrino saltato fuori dopo un anno? «Sono cose già superate, archiviate». Ma la realtà è più complicata. Perchè se i pm si convincono che lo scontrino del parcheggio di Vigevano è un alibi costruito a tavolino da Sempio con la complicità dei genitori, il coinvolgimento dell'uomo nel delitto diventerebbe quasi automatico.
Sentito a verbale alle 17,47 del 10 febbraio 2017, Giuseppe Sempio dice: «Quel giorno non lo scorderò mai... Mi sono svegliato verso le 7,30, ho preso il caffè, mia moglie ha preso la macchina ed è andata a fare la spesa. Mio figlio in genere si svegliava tardi ma quella mattina, visto che doveva andare in biblioteca, si è alzato prima e ci siamo visti. Quando è tornata mia moglie, verso le 10, mio figlio ha preso la macchina ed è andato a Vigevano». Ma Andrea è stato interrogato lo stesso giorno alle 16, prima di suo padre: e non ha detto di averlo visto. «Quella mattina mi sono svegliato verso le nove. Credo che ci fosse in casa mio padre ma non sono in grado di ricordare oggi se ci fosse effettivamente». La differenza è netta. Poi a padre e figlio viene chiesto quando è riapparso lo scontrino del parcheggio di Vigevano. Anche su questo si contraddicono. E mentre tornano a casa in auto, dopo gli interrogatori, le microspie registrano lo sfogo di Andrea: «Ne abbiamo cannata una, che io ho detto che lo scontrino era stato trovato dopo che ero stato sentito, tu hai detto che lo abbiamo trovato prima». La discussione prosegue a lungo, fino alla conclusione di Andrea: «C'è in ballo trent'anni di galera».
Sono incongruenze che sarebbero rimaste sepolte in archivio se non fosse ripartita l'indagine della procura di Pavia. Che però ha alla base, come sottolineano fonti investigative, soprattutto il dato scientifico: la rilettura del Dna trovato sotto le unghie di Chiara. Come in altri delitti, se anche l'esame di ieri confermasse il match con il profilo di Sempio si aprirebbe una battaglia di perizie. Con la difesa di Sempio arroccata su quanto dichiarato nel 2017 dal perito della Procura, Francesco De Stefano, che analizzò le unghie tagliate dal corpo di Chiara: «La tecnica di lavaggio usata per recuperare il maggior quantitavo di materiale possibile per le analisi non consente di definire se il materiale si trovasse sopra o sotto le unghie», «la tecnica utilizzata avrebbe comportato la distruzione dei campioni, come effettivamente è stato», «preciso che non esiste più alcun materiale su cui effettuare nuove prove».
E comunque, anche se il Dna è di Sempio, «ritengo che il trasferimento sia avvenuto tramite contatto tra le mani della vittima e oggetti su cui era stato depositato il dna rinvenuto»: nessun contatto diretto, insomma, tra Sempio e Chiara. Ma i periti della difesa Stasi sono di diverso avviso. E ora anche i nuovi periti dei pm di Pavia.
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