Vacilla il green deal europeo ora che anche Parigi e Berlino danno la spallata

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca costringe la Ue a cambiare rotta per non finire schiacciata

Vacilla il green deal europeo ora che anche Parigi e Berlino danno la spallata
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Scricchiola sempre di più l'impianto del green deal europeo colpito dalle crescenti pressioni politiche ormai trasversali che impongono alla Commissione europea una revisione del piano che, dopo nemmeno sei anni dal lancio, dimostra tutti i limiti e pericoli per la nostra economia.

Le politiche green europee vengono messe in discussione non più solo dai tradizionali detrattori ma anche da figure e partiti che fino a pochi anni fa ne erano i principali promotori, oggi consapevoli del cambio radicale dello scenario globale. Già il risultato delle elezioni di giugno con la crescita dei partiti di centrodestra aveva rappresentato un primo segnale che le istituzioni Ue non potevano non tenere in considerazione ma l'elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti è un evento impossibile da ignorare; d'altrocanto Trump non ha usato giri di parole definendo il green deal «un imbroglio». Ma è soprattutto da un dato di realtà che Ursula Von der Leyen deve partire: se si va avanti così e non si cambiano le cose, l'economia Ue, schiacciata tra Usa e Cina, rischia di schiantarsi.

Per questo motivo mercoledì il Collegio dei commissari varerà il Competitiveness Compass (la Bussola della competitività), un piano che ha l'obiettivo di ridurre gli oneri burocratici imposti alle imprese nell'Ue, del 25% per le grandi aziende e del 35% per le pmi. A fine febbraio è invece prevista la presentazione di una proposta legislativa di semplificazione chiamata Omnibus per la revisione di una prima parte della legislazione del green deal già in vigore. Dovrebbero essere riviste tre normative europee che impongono alle imprese degli oneri burocratici per perseguire la sostenibilità ambientale tra cui la direttiva Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive) sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese e quella sulla diligenza dovuta (due diligence) da parte delle grandi e medie aziende nel controllo delle loro catene del valore. L'obiettivo è rendere la regolamentazione europea «più semplice, più leggera, più veloce» recependo i suggerimenti del Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea ma anche di dare risposte concrete alle crescenti pressioni politiche.

Il governo francese, in passato tra i principali fautori del green deal, pochi giorni fa ha infatti esortato Bruxelles a rinviare a tempo indeterminato le norme verdi dell'Ue per le imprese, in particolare la nuova direttiva europea sulla due diligence aziendale e la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale. I leader del Partito popolare europeo in un documento redatto al termine della propria riunione in Germania nei giorni scorsi, hanno invece chiesto alla Commissione di rinviare di almeno due anni l'entrata in vigore delle norme sulla sostenibilità finanziaria e aziendale, nonché la nuova tassa sulle emissioni di carbonio alle frontiere dell'Ue.

Anche il primo ministro polacco Donald Tusk si è scagliato contro le politiche green europee chiedendo una «revisione di tutti gli atti giuridici, compresi quelli previsti dal green deal». A questo punto la domanda non è se il green deal verrà rivisto ma quando.

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